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COMUNICATO STAMPA


PRESENTATA OGGI A TORINO DA INTESA SANPAOLO E DAL CENTRO EINAUDI L’INDAGINE SUL RISPARMIO E SULLE SCELTE FINANZIARIE DEGLI ITALIANI 2014

• Cresce la propensione al risparmio. Le famiglie riprendono il controllo dei propri budget.
• La banca resta il primo riferimento per la consulenza.
• I risparmiatori dedicano più tempo alla difficile scelta degli impieghi
• Gli imprenditori sono il tema monografico di questa edizione

Torino, 2 luglio 2014 – E’ stata presentata oggi a Torino L’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2014: “Famiglie e imprenditori, ripresa in arrivo”, un progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo, basato su interviste effettuate da Doxa fra gennaio e febbraio 2014 a 1.061 capifamiglia, correntisti bancari e/o postali. I risultati sono stati analizzati e discussi da Salvatore Carrubba, Presidente del Centro Einaudi, Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo e dall’economista Giuseppe Russo, curatore del Rapporto. Le conclusioni sono state affidate a Gian Maria Gros-Pietro, presidente del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo.

Di seguito la sintesi della ricerca:

L’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2014 è un progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo, basato su interviste effettuate da Doxa fra gennaio e febbraio 2014 a 1.061 capifamiglia, correntisti bancari e/o postali. Il campione selezionato è rappresentativo per classi di età, professioni, titoli di studio e zone geografiche. Lo studio permette confronti temporali dal 1983 a oggi; quest’anno, in particolare, è stato condotto ovunque possibile un confronto con il 2007, l’ultimo anno precedente la crisi per cui sono disponibili serie storiche complete. Ogni anno, l’Indagine affronta un tema monografico: nel 2014 l’attenzione si è concentrata sugli imprenditori (ossia i capi-azienda delle piccole e medie imprese) con un campionamento aggiuntivo di 478 unità, cui è stato sottoposto un questionario specifico. Per quanto riguarda le famiglie, il confronto con il 2007 restituisce un quadro in cui appaiono ancora evidenti le ferite della crisi; rispetto allo scorso anno, invece, sono visibili consistenti segnali di stabilizzazione/miglioramento.

Le famiglie riprendono il controllo dei propri budget. Nel 2007 il 62 per cento degli intervistati dichiarava di avere un reddito corrente “sufficiente” o “più che sufficiente”; nel 2013 la percentuale si era ridotta al 56 per cento; nel 2014 risale al 58 per cento.  Con riferimento al reddito atteso al momento della pensione, il 47,8 per cento del campione prevedeva nel 2007 di poter disporre di entrate “sufficienti” o “più che sufficienti”; nel 2013 la percentuale si era ridotta al 37,3 per cento; nel 2014 si è riportata al 42,1 per cento.
Il miglioramento delle prospettive rispetto al 2013 è riassunto dall’andamento dei saldi tra la somma delle percentuali degli intervistati che dichiarano la sufficienza o più che sufficienza del reddito e la somma di coloro che ne dichiarano l’insufficienza totale o parziale. Nel caso del reddito corrente, il saldo migliora di 6 punti percentuali tra il 2013 e il 2014 fino a toccare il valore di 48,1, avvicinandosi pertanto al livello del 2007 (51,6); con riferimento al reddito atteso negli anni della pensione, il saldo migliora di circa il doppio (oltre 13 punti) fino al valore di 25,6, anch’esso vicino al valore del 2007 (29,8).
Il miglioramento delle aspettative sul reddito negli anni di ritiro dalla vita attiva è collegato anche alla rivalutazione dei portafogli famigliari. L’indice total return del valore di un portafoglio medio diversificato (benchmark) che comprende i titoli di Stato italiani, elaborato e aggiornato dal Centro Einaudi, valeva 129,2 a fine 2013 e 133,2 a maggio 2014:  si è apprezzato del 4,8 per cento nel 2013 e del 3 per cento nei primi cinque mesi del 2014.
Soprattutto, questo portafoglio vale il 33,2 per cento in più rispetto al valore iniziale di 100, collocato a inizio 2008, prima del crack Lehman.
Nel confronto con il 2013, gli impatti della crisi sui bilanci famigliari si riducono. Ciò avviene in parte perché, probabilmente, le spese (ove possibile) sono già state tagliate; in parte perché le famiglie hanno evidentemente “ripreso il controllo” dei propri budget, anche se non si attendono miglioramenti significativi (si riduce solo di 1 punto, dal 56 al 55 per cento, la quota di coloro che prevedono ancora per l’anno in corso un aggravamento più o meno pronunciato degli effetti della crisi sulle risorse della famiglia). Non sorprende, in questo quadro, che il grado di fiducia nelle istituzioni resti molto basso - su livelli simili, quando non lievemente inferiori, a quelli del 2013.


Aumentano i risparmiatori e cresce la propensione media al risparmio.  Nel 2007 non era riuscito a risparmiare il 51 per cento del campione; il dato sale al 61 per cento nel 2013, per tornare a scendere al 59 per cento nel 2014. L’aumento di due punti percentuali degli intervistati che dichiarano di essere riusciti a risparmiare si spiega considerando che, tra il 2013 e il 2014, sale dal 16 al 18 per cento la quota di coloro che dichiarano di avere risparmiato senza un’intenzione precisa. Si conferma dunque l’ipotesi di un risparmio dettato almeno in parte da generici elementi di cautela nei confronti di un futuro percepito come grandemente incerto. Tale accantonamento si traduce per ora in un’accresciuta preferenza per la liquidità, ma rappresenta senza dubbio per gli operatori professionali un’opportunità da non sprecare. Anche la propensione al risparmio sale,  passando dal 10,4 del 2013 al 10,5 dichiarato nel 2014.

Le famiglie risparmiano soprattutto per i figli... Le risposte a una serie di domande (su obiettivi del risparmio, vulnerabilità percepita rispetto al verificarsi di determinati eventi, tipologia dei tagli effettuati sul budget di famiglia) confermano che la preoccupazione predominante è quella per il futuro dei figli, per il quale si risparmia, rispetto al quale ci si sente vulnerabili, e a sostegno del quale si riprende a spendere non appena il bilancio familiare lo consente.

… e hanno come primo obiettivo la sicurezza. Rispetto al 2007, gli obiettivi dei risparmiatori non cambiano (come evidente dal cosiddetto “diamante del risparmio”); al contrario, si registra un rafforzamento delle tendenze degli anni passati. Il 55,2 per cento dei risparmiatori presta attenzione per prima cosa alla “sicurezza del capitale”. La paura dell’imprevisto, la difficoltà di valutare soluzioni alternative e una generale avversione al rischio del risparmiatore, fa sì che questi si rifugi sempre più nella liquidità. In particolare, emerge dall’Indagine che il 18,7 per cento dei risparmiatori italiani detiene in banca in forma liquida il 100 per cento del proprio patrimonio finanziario.

I risparmiatori dedicano più tempo alla (difficile) scelta degli impieghi. Osservando il tempo mediamente dedicato a ottenere informazioni per l’investimento dei risparmi, si rileva che  il 40,6 per cento degli intervistati vi dedica fino a un’ora a settimana: il livello è il più alto mai raggiunto dal 2006, anno in cui è stata posta per la prima volta la domanda. Questo accresciuto livello di attenzione è una delle eredità positive della crisi, sulla cui base sarà importante costruire strumenti informativi adeguati. Strumenti tanto più necessari in quanto il saldo fra coloro che, negli ultimi dodici mesi, ritengono più facile o più difficile investire, raggiunge nel 2014 il secondo peggior risultato dal 1998 (-47,8).

La banca resta il primo riferimento per la consulenza. Nel 2014, il rapporto di fiducia tra i risparmiatori e la banca si conferma solido, anche se poco più dell’80 per cento del campione dichiara di avere un conto corrente bancario (dato in flessione rispetto agli anni pre-crisi). Circa il 13 per cento ha un conto corrente in Posta e il 6,1 per cento ha più conti correnti in banche differenti, valori pressoché invertiti tra 2009 e 2014. Il giudizio sull’adeguatezza del servizio di consulenza offerto dalla banca in merito alle scelte d’investimento è molto positivo (71,6 per cento). Si tratta del risultato più alto dal 2004 (primo anno in cui la domanda è stata posta), corroborato da una distribuzione uniforme su tutte le categorie del campione. Solo gli investitori esperti, con un’alta propensione al rischio, si muovono attraverso Internet (2 per cento), mentre il risparmiatore medio ricerca consulenza e assistenza nella scelta degli impieghi in primo luogo in banca. Alla banca peraltro ci si rivolge anche nell’emergenza: il 19,5 per cento di coloro che hanno in corso un finanziamento al consumo (contro il 9,1 nel 2013 e il 14,9 nel 2012) lo ha richiesto per fronteggiare spese impreviste dovute alla crisi.

La composizione del patrimonio. Tradizionale è l’interesse dei risparmiatori per la casa. Non è più considerata il miglior investimento possibile, ma le case messe in vendita, magari per far fronte alle necessità sopravvenute in questi anni, non sono comunque prime case. Fra una casa in proprietà e una in affitto si sceglie comunque la prima. Nel 2014 la percentuale di risparmiatori acquirenti di una nuova casa ha toccato il minimo (7,6 per cento): il 5,4 per cento degli intervistati dichiara di aver acquistato negli ultimi dodici mesi un’abitazione per viverci (contro il 5,5 per cento nel 2013); lo 0,8 per cento una seconda casa (1 per cento); lo 0,6 per cento un’abitazione per i figli (1,1 per cento); lo 0,8 per cento un immobile come investimento per integrare il reddito (1,1 per cento). I giudizi sull’investimento, tuttavia, sono sempre largamente positivi e il saldo di soddisfazione (69,8) è sempre il più elevato rispetto a tutte le altre forme di impiego. Numerosi indizi fanno pensare a un possibile risveglio del mercato immobiliare; aumenta la quota di coloro che hanno ricevuto dalla propria banca un mutuo considerato «corrispondente» alle attese (65,1 per cento, valore più elevato dal 2012).
Venendo invece ai portafogli finanziari, tende a diminuire nel tempo la quota di coloro che dichiarano di detenere o aver detenuto obbligazioni negli ultimi cinque anni. Nel 2006 la percentuale di risparmiatori che investiva i propri risparmi in questi strumenti era pari al 29 per cento: oggi è scesa al 20,1 per cento. Le obbligazioni si confermano comunque, rispetto alle azioni e agli strumenti di risparmio gestito, la asset class più diffusa tra coloro che effettuano investimenti mobiliari. La presenza di risparmiatori nei mercati azionari è in forte calo e la discesa sembra non arrestarsi. Nell’ultimo decennio, la percentuale di intervistati che ha dichiarato di investire in Borsa parte dei propri risparmi si è ridotta progressivamente: nel 2003 un intervistato ogni tre possedeva (o aveva posseduto) azioni; nel 2007 la proporzione era di un azionista ogni cinque italiani; oggi solo un risparmiatore su dieci investe in Borsa. Tra coloro che hanno investito in strumenti di risparmio gestito negli ultimi cinque anni, solo l’8,8 per cento lo ha fatto negli ultimi dodici mesi, percentuale in contrazione rispetto all’11,5 per cento del 2013 e al 18,3 per cento del 2012. Se da un lato diminuisce la quota dei nuovi sottoscrittori, nello stesso periodo e in linea con gli anni passati il 28,3 per cento dei possessori ha però incrementato il proprio investimento in forme di risparmio gestito.

§§§


Gli imprenditori e l’alba della ripresa. Nel 2014, come si è detto, l’Indagine si è arricchita di un questionario rivolto a 478 imprenditori, titolari o capi di imprese con almeno 10 e non più di 250 dipendenti. Obiettivo di questo specifico approfondimento è stato verificare disponibilità e propensione all’investimento di quella categoria di soggetti dalle cui decisioni largamente dipende la possibilità che la ripresa annunciata si diffonda e si consolidi.

Dei 478 intervistati, il 65 per cento è uomo e il 35 per cento è donna; la presenza femminile risulta dunque mediamente più elevata che in altre carriere direttive (supera per esempio il 40 per cento la quota delle donne al timone di imprese medio-grandi).

L’alba che spunta sulle imprese è però segnata da forti contrasti.

Gli imprenditori dichiarano mediamente di aver perso fatturato tra il 2007 e il 2013 (saldo medio fra chi segnala di aver perso o aumentato il fatturato: -33 per cento). Non sono pochi però, e si ritrovano soprattutto fra coloro che guidano imprese di medie dimensioni, quelli che dichiarano che i fatturati sono cresciuti (da 50 addetti in su: saldo +14): chi è entrato nella crisi potendo contare su dimensioni maggiori ne sta uscendo meglio, perché le opzioni strategiche attivabili per fronteggiarla erano di più.

Il 30 per cento degli imprenditori vede come primo effetto della crisi le difficoltà finanziarie prodottesi in azienda. Al contrario, ben il 20 per cento ritiene che la crisi abbia condotto a miglioramenti in termini di efficienza e/o occasioni di investimento innovativo.

Il 77 per cento degli intervistati giudica che dalla crisi si può uscire in primo luogo riducendo il prelievo fiscale. Il 52 per cento afferma invece che è necessario lavorare sui costi, e ben il 42 per cento farebbe più investimenti in Italia, in particolare nell’innovazione.

Il 50 per cento circa del campione dichiara una capacità di generazione di risorse non sufficiente a finanziare nuovi investimenti (verrà pertanto richiesta finanza esterna). Un altro 50 per cento ritiene invece di avere una cassa adeguata ad autofinanziare la crescita, ma si distribuisce in maniera disomogenea: si concentra infatti largamente nei segmenti caratterizzati da cash flow più elevati, e sono proprio quei cash flow ad assicurare consistenti capacità di investire già nei prossimi anni.
Visto attraverso le interviste ai suoi protagonisti, il sistema imprenditoriale italiano ha potenzialità da far valere ed è orientato a innovare. Tramonta, per esempio, il modello di finanziamento basato solo sulle banche: nei prossimi anni gli intervistati chiederanno capitali in primo luogo ai soci delle aziende (46 per cento). Il 25 per cento degli imprenditori, inoltre, ha compreso la necessità di superare i limiti dimensionali e pensa a una fusione o acquisizione.  Le fusioni future potrebbero riguardare più di un’impresa su tre nelle maggiori classi dimensionali: raggiungere una scala superiore è considerato infatti una priorità per cogliere le opportunità offerte dalla globalizzazione, senza correre rischi eccessivi. Il 14 per cento degli intervistati sa già che aprirà all’estero. Ben il 10 per cento delle imprese sta valutando il crowdfunding e una quota non dissimile pensa di quotarsi in Borsa (9 per cento, contro solo l’1 per cento del campione che è già quotato); l’8 per cento emetterà mini-bond.


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