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Intesa Sanpaolo presta il Martirio di sant’Orsola alla mostra “CARAVAGGIO 2025”

L’immagine che accompagna la News sul prestito dell’opera il Martirio di Sant’Orsola alla mostra “CARAVAGGIO 2025”, ritrae l’opera del Merisi

10 marzo 2025

Il Martirio di sant’Orsola di Caravaggio, capolavoro delle collezioni di Intesa Sanpaolo, è stato concesso in prestito alla mostra “CARAVAGGIO 2025”, uno dei più importanti e ambiziosi progetti espositivi mai dedicati all’opera di Michelangelo Merisi, realizzato in occasione del Giubileo 2025 e di cui Intesa Sanpaolo è main partner.

L’opera è solitamente esposta presso le Gallerie d’Italia – Napoli, museo di Intesa Sanpaolo nella città partenopea, e resterà a Roma fino al 6 luglio 2025, data di chiusura della mostra.

Il capolavoro è stato oggetto di un importante lavoro di ripulitura che ha portato alla luce tre nuove figure sparite nel tempo: tre teste sono infatti ricomparse in quello che è considerato l’ultimo dipinto di Merisi, realizzato nel 1610, poco prima della sua morte.

La revisione conservativa, una forma di restauro “leggero”, ha riportato all’originaria nitidezza e brillantezza colori e forme. I lavori sono stati realizzati dalle restauratrici Laura Cibrario e Fabiola Jatta presso le Gallerie d’Italia di Napoli.

Con l’occasione è stata inoltre sostituita la cornice con una secentesca dotata della moderna tecnologia climaframe per una conservazione di avanguardia.

La storia de Il Martirio di sant'Orsola

Il Martirio di sant'Orsola è un dipinto a olio su tela (143 × 180 cm) eseguito nel 1610 da Caravaggio e conservato presso le Galleria d’Italia-Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale di Intesa Sanpaolo a Napoli.

L'opera è di fatto l'ultima pittura del Merisi essendo stata realizzata poco più di un mese prima della sua morte. Commissionato dal principe Marcantonio Doria (la cui famiglia aveva per protettrice proprio Sant'Orsola), il dipinto fu eseguito dal Caravaggio con molta rapidità, probabilmente perché questi era in procinto di partire per Porto Ercole, ove avrebbe dovuto compiere le formalità per essere graziato dal bando capitale. È ben noto che durante quel viaggio il pittore trovò la morte. La fretta fu tale che la tela uscì dallo studio del pittore ancora fresca di vernice e, non essendo perfettamente asciutta alla consegna, degli incauti servi la esposero al sole, circostanza che fu all’origine della sua sofferta conservazione.

L’opera fece ritorno a Napoli nella prima metà dell’Ottocento, pervenendo per via ereditaria al ramo Doria dei principi d’Angri e successivamente, circa un secolo dopo, ai baroni Romani Avezzano d’Eboli, per essere infine acquistata, come opera di Mattia Preti, dalla Banca Commerciale Italiana nel 1972. Dopo alterne vicende attributive, la reale paternità dell’opera e la sua fondamentale posizione storica saranno definitivamente chiarite soltanto nel 1980, grazie al ritrovamento, nell'archivio Doria D'Angri, di una lettera scritta a Napoli il 1º maggio 1610 da Lanfranco Massa, cittadino genovese e procuratore nella capitale partenopea della famiglia Doria, e diretta a Genova per Marcantonio Doria, figlio del Doge Agostino: "Pensavo di mandarle il quadro di Sant' Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti".

Ai travagli patiti nei secoli dalla tela – guasti, ampliamenti, ridipinture, che ne avevano profondamente alterato la leggibilità e la chiarezza iconografica – ha posto finalmente rimedio l’importante restauro promosso dalla Banca e condotto tra il 2003 e il 2004 presso l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma, che ha ripristinato l’originaria coerenza dell’immagine, ora più fedele e prossima alle intenzioni dell’autore. Tra le principali novità apportate da questo complesso intervento nella lettura del dipinto occorre segnalare il recupero del braccio e della mano tesa di un personaggio che tenta invano – con forte accentuazione nella carica drammatica della scena – di arrestare la freccia scoccata dal carnefice; inoltre la presenza, nel fondo, di un tendaggio, che suggerisce un’ambientazione nell’accampamento del re unno; infine le sagome di un paio di teste dietro il piano della santa.

Descrizione dell’opera

Come sua consuetudine, il Caravaggio si discosta dall'iconografia tradizionale di Sant'Orsola, generalmente ritratta coi soli simboli del martirio e in compagnia di una o più vergini sue compagne; sceglie invece di raffigurare il momento stesso in cui la santa, avendo rifiutato di concedersi al tiranno Attila, viene da lui trafitta con una freccia, caricando la scena di un tono squisitamente drammatico. Il dipinto è ambientato nella tenda di Attila, appena discernibile grazie al drappeggio sullo sfondo, che funge quasi da quinta teatrale.

L'intero ambiente, come consuetudine nei dipinti caravaggeschi, è permeato da un complesso gioco di luci e ombre, che tuttavia in quest'ultimo dipinto dell'artista sembra dar vantaggio più alle seconde che le prime: è uno specchio del travagliato periodo che l'autore stava vivendo nella parte finale della sua vita.

Il primo personaggio a sinistra è lo stesso Attila, raffigurato con abiti secenteschi; il barbaro ha appena scagliato la freccia e sembra essersi già pentito del suo gesto: sembra quasi allentare la presa sull'arco e il suo volto è contratto in una smorfia di dolore, quasi a dire "che cosa ho fatto?". A poca distanza da lui c'è Sant'Orsola, trafitta dalla freccia appena visibile sul suo seno: ella sta piegando la testa in quella direzione e con le mani sta spingendo indietro il petto come per meglio vedere lo strumento del suo martirio. Non sembra provare dolore, piuttosto una disinteressata rassegnazione, ma il suo volto e le mani bianchissime rispetto a quelli degli altri personaggi preludono alla sua immediata morte. Infatti tre barbari, anch'essi in abiti moderni (uno indossa addirittura un'armatura di ferro), stanno accorrendo a sorreggere Sant'Orsola, ed essi stessi sembrano increduli di fronte al gesto repentino e impulsivo del loro capo. Nelle fattezze di quello di loro che si trova alle immediate spalle della santa, Caravaggio ha raffigurato se stesso con la bocca dischiusa e l'espressione dolorante: egli sembra ricevere la trafittura insieme a lei.

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