Richiamati. Bancari al fronte della Grande Guerra
La Prima Guerra Mondiale è stata definita, con un’espressione efficace, “la guerra dei nostri nonni”; quasi ogni famiglia conserva fra i propri ricordi la storia di qualche caro in qualche modo coinvolto in una carneficina che, alla fine del conflitto, contò 600.000 morti e mezzo milione di mutilati.
Le carte dell’Archivio storico del Gruppo Intesa Sanpaolo hanno permesso di svelare una pagina inedita sul conflitto che più di ogni altro ha raccontato il sacrificio di un’intera generazione. Un numero non indifferente di richiamati, infatti, era impiegato in banca. I documenti riguardanti il personale - i fascicoli nominativi in primis, ma anche le delibere, le circolari, le pratiche relative all’attivazione fuori regione di filiali di emergenza - sono stati prodotti e conservati per fini amministrativi, ma col passare del tempo sono diventate fonti storiche imprescindibili per studiare e capire i molteplici aspetti della vita lavorativa del bancario. La possibilità di compiere ricerche ‘trasversali’ su carte riguardanti una molteplicità di banche ora fuse in Intesa Sanpaolo e in un arco cronologico a volte pluricentenario, amplifica molto le possibilità della ricerca.
Si pensi, solo per fare un esempio, alle ricerche sull’evoluzione del ruolo personale femminile in banca, che quasi sempre fu assunto per la prima volta proprio durante la Grande Guerra per far fronte al grande numero di richiamati. Il richiamo alle armi iniziò già ad aprile 1915, ma il primo problema che molte aziende si trovarono ad affrontare – fra queste, ad esempio, la Banca Commerciale Italiana, l’istituto più internazionale del nostro Gruppo – fu quello del personale di nazionalità non italiana, che era diventato “nemico” dopo l’entrata in guerra dell’Italia. I primi impiegati licenziati furono quelli di nazionalità tedesca e austriaca, ad eccezione degli austriaci di nazionalità italiana (i cosiddetti ‘irredenti’).
In generale le banche tendevano a mantenere il posto al personale richiamato – fra le eccezioni, il Banco Ambrosiano – mentre veniva affrontata diversamente banca per banca la questione del mantenimento dello stipendio e del versamento dei contributi previdenziali. Infatti, i richiamati ricevevano un assegno dalle forze armate in un momento in cui le aziende dovevano fare ricorso a spese straordinarie per l’immissione di personale, anche se supplente.
Le banche con sede al nord Italia furono le più colpite nell’organizzazione del lavoro. A giugno 1915 avevano già lasciato la Banca Commerciale ben 838 lavoratori. La Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde vide ben 274 richiamati fra personale della Sede centrale e delle filiali, corrispondente a circa la metà degli impiegati assunti in pianta stabile. Per non pregiudicare la regolare attività dell’Istituto, i richiamati al fronte furono sostituiti in parte con il ricorso al lavoro straordinario – quindi con un sostanzioso aumento dell’orario di lavoro per chi rimaneva in servizio – in parte con l’assunzione di personale “supplente”, a volte femminile. I supplenti non avevano alcun diritto alla conservazione del posto dopo il rientro degli impiegati in ruolo, nonostante le numerose istanze in tal senso provenienti da questi lavoratori ‘precari’.
Il cuore di un archivio sono le persone che troviamo nei documenti e le relazioni che da questi documenti nascono: storie di ragionieri, dattilografi, inservienti, fattorini che diventano artiglieri, fanti, granatieri, aviatori, carabinieri, alpini e che spesso si rendono protagonisti di atti eroici, regolarmente registrati nei loro fascicoli. La banca è una seconda famiglia e spesso è proprio da qui che partivano le comunicazioni alle famiglie d’origine riguardanti il decesso dei loro cari; nei casi più fortunati, invece, attraverso le agenzie più vicine alla linea del fronte, la banca costituiva una testa di ponte fra gli impiegati e le loro famiglie, garantendo le comunicazioni con i propri cari. Ma i fascicoli sono anche ricchi di lettere e cartoline nelle quali i richiamati raccontano ai colleghi rimasti e ai loro superiori la vita al fronte, con particolari spesso struggenti.
Tutte queste persone hanno un nome e una storia. Per mantenerne il ricordo, ma anche per mostrare la relazione che ancora oggi, attraverso gli archivi, esse mantengono con tutti noi, ne sono state finora ritrovati 750; 140 di loro non rientrarono dal fronte. Per ognuno è stata fatta una breve ricostruzione della carriera militare e della posizione all’interno della banca di appartenenza.
Le banche finora considerate sono una quindicina, ma si tratta di un lavoro in progress che ci auguriamo possa essere ampliato e completato con il contributo di quanti riconosceranno dietro ognuna di queste storie la dignità di una memoria che ormai quasi solo gli archivi sono in grado di restituire.
Barbara Costa
Responsabile archivio storico
Intesa Sanpaolo
Giugno 2019