La storia pubblica: memoria, archivi e audiovisivi
La relazione fra Storia e mezzi di comunicazione audiovisivi rappresenta una questione nota e spesso affrontata nel dibattito accademico e culturale, su cui oggi si è acceso un rinnovato interesse, soprattutto in ambito internazionale, da parte di differenti settori: istituzioni e professionisti della comunicazione, archivisti e storici, studiosi dei media e mondo della cultura individuano nel rapporto tra media audiovisivi e Storia un campo di analisi particolarmente significativo per le questioni che solleva e per la loro ricaduta sulla comprensione del presente.
Per questo, nel marzo scorso, nel Salone Mattioli delle Gallerie d’Italia di Piazza Scala, si è tenuto il convegno internazionale “La Storia pubblica. Memoria, fonti audiovisive e archivi digitali”.
Recentemente, anche in ambito italiano, si sta pian piano ridiscutendo il ruolo della disciplina storica nei luoghi ad essa istituzionalmente deputati. Il punto sta nel cercare di capire che cosa fare, oggi, della Storia (e degli storici) nel mondo reale, dunque indagare la loro funzione pubblica e sociale ben oltre l’accademia. In questa riflessione, ci viene in aiuto il concetto di public history che, com’è noto, fa riferimento alla possibilità che la narrazione storica esca dalle aule universitarie o dalle riviste scientifiche e incontri il bisogno più o meno diffuso di conoscere e ricostruire il passato da parte di un pubblico composto non necessariamente da addetti ai lavori. Su questa scia, viene dunque da interrogarsi su quale sia l’utilità e la funzione della Storia nella sua nuova dimensione pubblica.
Nell’era della convergenza digitale, la public history non sembra essere più soltanto destinata ai classici luoghi della divulgazione (i musei, le biblioteche, gli archivi, i festival, i teatri, le mostre) o ai tradizionali mezzi di comunicazione di massa (la radio, la stampa, il cinema, la televisione), ma si serve di uno spettro sempre più ampio di nuovi media (il web, i social network, i videogiochi, la realtà virtuale), fino a qualche anno fa quantitativamente e qualitativamente inimmaginabili, che forniscono al pubblico generalista, così come agli storici stessi, un archivio digitale di immagini e fonti storiche potenzialmente infinito.
Le due giornate di studio, che hanno visto la partecipazione, tra altri, di Jérôme Bourdon, della Tel Aviv University, uno dei più importanti specialisti internazionali di media, di Paolo Mieli, storico e giornalista, di Serge Noiret, dell’European University Institute e presidente dell’Associazione italiana di public history, oltre agli esponenti dei principali canali televisivi italiani (Rai, Mediaset, Sky, La7, Discovery, History Channel), sono servite a rispondere a una domanda di fondo: qual è il ruolo degli archivi digitali nella ridefinizione del concetto di Storia pubblica? E ancora: quale spazio rimane, oggi, per il racconto audiovisivo della Storia in un simile contesto mediale così multiforme e convergente?
Dai molti interventi è emerso come nell’era digitale la concorrenza nei campi della scienza sia aumentata notevolmente per gli storici, ponendo loro un problema centrale: ovvero quello del pubblico. Per chi si scrive la Storia? Per chi si producono racconti storici tramite le fonti audiovisive? Se la Storia si deve fare non solo “per” ma anche “con” il pubblico, chi controlla l’autorità e l’autorevolezza dei contenuti che vengono diffusi tramite il web? Verrebbe dunque da lanciare una provocazione conclusiva: tutti gli storici, nel momento in cui prendono una penna in mano, o una tastiera, oppure quando entrano in un’aula universitaria, dovrebbero porsi in una dimensione pubblica. Si può dire, dunque, che lo storico non è storico se non è public historian?
Gli interventi dei professionisti ci hanno infine aiutato a porre la questione in una dimensione pratica: la televisione contemporanea sembra fare sempre più i conti con i problemi legati all’archiviazione e alla divulgazione delle fonti storiche audiovisive attraverso l’adozione di politiche editoriali differenti, portate avanti da canali generalisti, di servizio pubblico o commerciali, così come da esperienze più indirizzate all’intrattenimento, o ancora canali tematici dedicati specificamente alla storia. Tracciare la presenza della Storia in televisione, dunque, può servire come filtro per leggere proprio l’evoluzione dei paesaggi televisivi contemporanei: dalle esperienze di cicli tematici portate avanti tramite produzioni originali o acquisti esteri, fino alla produzione di fiction che recuperano in modo didascalico questioni legate all’identità nazionale. Insomma, il ruolo che svolge la televisione contemporanea nel creare memorie, immaginari del passato, storie pubbliche così diverse e sfaccettate non sembra più sottovalutabile per comprendere appieno il futuro stesso della televisione. E della Storia.
Aldo Grasso
Professore di Storia della Radio e della Televisione Università Cattolica del Sacro Cuore Milano
Luglio 2019