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Intesa Sanpaolo, Main Partner di Un capolavoro per Venezia

immagine dell'opera Sacra Conversazione di Lorenzo Lotto. L'immagine raffigura i Santi Caterina e Tommaso

di Francesca Del Torre (*)

Dopo il lungo e fruttuoso soggiorno bergamasco (1513-1525) Lorenzo Lotto ritornò a Venezia dove si trattenne per circa 20 anni durante i quali continuò a viaggiare tra Bergamo e le Marche, prima di ritirarsi definitivamente a Loreto nel 1552. Nel periodo veneziano egli realizzò numerosi, indimenticabili ritratti –tra cui lo splendido Ritratto di giovane gentiluomo delle Gallerie- e scene religiose tra le quali questa Sacra conversazione rappresenta probabilmente uno dei raggiungimenti più alti della sua arte.

Il motivo della Madonna con il bambino affiancata da una riunione di santi, celebrato in importanti pale d’altare cittadine di Giovanni Bellini e dei suoi seguaci, conobbe una trasformazione significativa proprio per mezzo della generazione di allievi di quel maestro. Nei dipinti veneziani del primo decennio del Cinquecento si assiste infatti ad un progressivo allentamento della struttura simmetrica e dell’ordine gerarchico dei santi. Questi “dialoghi spirituali” ora inseriti in dolci paesaggi della terraferma si evolvono in composizioni di formato orizzontale e di dimensioni ridotte rispetto alle pale d’altare, adatte quindi alla devozione privata. Lorenzo Lotto fu uno dei primi a contribuire a questo sviluppo anche se fondamentali furono i contributi di Tiziano, ma anche di Jacopo Palma il Vecchio, al quale si deve la capillare diffusione di tali rappresentazioni che divennero quasi una sua specialità.

Con spontaneità combinata a geniali intuizioni Lorenzo Lotto mette in scena i personaggi legandoli in un dialogo di gesti che visualizzano lo scambio intenso di pensieri e premonizioni sul destino di Gesù. In un soleggiato pomeriggio estivo Maria, seduta sull’erba, sostiene il bambino appoggiandosi ad un ceppo. L‘abito azzurro, ampiamente drappeggiato a formare idealmente una struttura piramidale, sottolinea l’importanza e la solennità del personaggio. Ad un nastro posto intorno al collo sono legati dei fogli ripiegati con caratteri vergati a mano, ma illeggibili, che sono stati interpretati come testi sacri oppure come preghiere. Alle sue spalle la quercia frondosa, che sostituisce il tendaggio della tradizione quattrocentesca, proietta sulle figure ombre irregolari stupendamente naturali. Santa Caterina in un abito di prezioso tessuto verde e mantello rosso, con al fianco la ruota della tortura, è inginocchiata a sinistra di Maria e regge un libro in mano. Al suo fianco San Tommaso tiene appoggiata alla spalla la lancia che trafisse il costato del Cristo. La scelta dei due santi è stata messa in rapporto con i possibili committenti del dipinto che porterebbero probabilmente i loro nomi. Che la splendida tela sia stata realizzata per una committenza prestigiosa e facoltosa sembra essere confermato anche dal fatto che Lotto dipinse l‘abito della Madonna con il blu di lapislazzuli, un pigmento assai costoso che conferisce intensità e preziosità particolari alla pittura.

Lotto orchestra sapientemente la composizione raggiungendo un equilibrio perfetto tra sguardi, gesti, colori e luce. L’angelo sembra avanzare leggero in punta di piedi e, incoronando Maria con un serto di pervinche, che simboleggiano la stabilità dei legami, innesca la dinamica della composizione che si snoda da sinistra verso destra. Lo sguardo della Madonna è rivolto al Bambino che, sfogliando il libro nelle mani di Caterina, stabilisce un contatto con la santa. Con una lieve torsione del capo quest‘ultima dirige lo sguardo verso Tommaso, o meglio verso le sue mani giunte, coinvolgendolo nel racconto. Il santo, ritratto di profilo, conclude formalmente e, grazie all’accento del rosso intenso del mantello, anche cromaticamente, la scena. Lotto si serve dunque di un colorismo raffinatissimo e perfettamente calibrato, tra gli azzurri e i verdi delle figure e del paesaggio ed il rosso del manto dei santi che conferisce naturalezza, ma anche dinamicità alla “conversazione”.

Il primo riferimento al dipinto nelle fonti risale al 1660 quando l’opera si trovava già nelle collezioni imperiali. Sulla base delle descrizioni della galleria, ottenute probabilmente dal pittore Pietro Liberi allora al servizio della corte viennese, Marco Boschini dedicò all’opera tre quartine nel Vento quinto della sua Carta del Navegar Pitoresco. Definendolo “Un precioso quadro ch’è un vero razo de splendor” egli evoca l’effetto che il colorito prezioso, la naturalezza delle pose e insieme il sentimento di intensa spiritualità sollecitato dalla contemplazione della scena esercitarono sull’osservatore seicentesco. Un effetto che ci affascina tuttora. È infatti il profondo sentimento di armonia che fa di questo ritratto della natura, indagata nei suoi fenomeni, il luogo ideale per la “riunione divina”. Una natura così vera da far pronunciare allo storico dell’arte inglese Philip Pouncey la frase “Ah, a Vienna c’è un dipinto in cui si sente il ronzio delle api”.

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(*) Curatrice della pittura italiana del Rinascimento al Kunsthistorisches Museum di Vienna

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