{"clientID":"8f0f2457-784e-48e4-98d6-0415047ebc97","signature":"1b7d588a5acbce37f866186501ec2d14f26b16f94bbb11b0017b314f918129da","encryption":"d00eb0e03501a6b3d0ffac2db4d56565","keyID":"494d1aae-e754-42bc-1137-9a9628244ec6","user":"C1AAFC8C323DFDA567B3CD7D0E48C3DD","clientIDSh":"9e04155b-dc20-4ad8-b40b-5d4c665631f2","signatureSh":"1b7d588a5acbce37f866186501ec2d14f26b16f94bbb11b0017b314f918129da","encryptionSh":"d00eb0e03501a6b3d0ffac2db4d56565","keyIDSh":"72a8b4f5-7fbb-427b-9006-4baf6afba018","userSh":"C1AAFC8C323DFDA567B3CD7D0E48C3DD"}

“Ma noi Ricostruiremo”, mostra sulla Milano bombardata del 1943

Milano ingombra delle macerie dei bombardamenti: sullo sfondo la facciata posteriore di Palazzo Marino, a destra la chiesa di San Fedele entrambi gravemente danneggiati dagli attacchi aerei. In mezzo alla piazza il monumento ad Alessandro Manzoni intatto, agosto 1943 © Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo PBL_26416 Chiesa di San Fedele, nell'omonima piazza a Milano, gravemente danneggiata dai bombardamenti; sulla destra l'edificio che ospitava la questura della città, completamente distrutto; davanti alla chiesa il monumento ad Alessandro Manzoni intaLa testa di un telamone giace su un cumulo di macerie degli edifici sventrati dai bombardamenti tra via Lecco e via San Gregorio a Milano, agosto 1943

di Mario Calabresi (*)

Gli archivi sono meravigliosi giacimenti di memoria, capaci di restituire vita e azione alla Storia. L’archivio Publifoto è un luogo silenzioso, ordinato, apparentemente freddo, ma se si ha la pazienza e la fortuna di aprire uno di quei cassetti, di guardare nelle schede, nelle buste, nelle scatoline dei negativi e dei provini, di sfogliare i registri, allora si scopre che lì dormono non uno ma mille volti di Milano e dell’Italia del Novecento. La prima volta che ci sono entrato e ho preso in mano uno di quei quaderni scritti a mano, con una calligrafia semplice e chiara, sono rimasto ipnotizzato. Sfogliarli significa liberare il genio della lampada, riportare tra noi folle di persone, donne e uomini che hanno costruito lo spazio in cui viviamo. E allora le storie del passato tornano tra noi con forza a raccontarci chi siamo e da dove veniamo.

Milano oggi porta ancora i segni della pandemia, li si legge negli uffici in parte vuoti, nella mancanza di turisti, in un’attesa di tempi migliori che non fa parte del carattere della città. Veniamo da mesi in cui il silenzio ha avuto una predominanza a noi sconosciuta, mai avevamo visto strade, piazze e stazioni così deserte. In questo tempo non previsto e nemmeno immaginabile è nata questa mostra. Per ricordarci di cosa siamo capaci, per mostraci la resilienza, la volontà di ricostruzione e la forza della speranza di Milano e dei suoi abitanti.

Per questo abbiamo recuperato le 3300 immagini dell’Archivio Publifoto (tutte scannerizzate e ora disponibili alla libera consultazione in rete), che parlano dei bombardamenti dell’agosto 1943, i più terribili della Seconda Guerra Mondiale, che ridussero importanti porzioni della città in macerie. Ma la città non si arrese e la documentazione originale dell’archivio Publifoto, costituito da un nucleo centrale di fotografie scattate in quelle settimane d’estate, dimostra la resistenza di Milano. Così abbiamo deciso di chiedere al fotografo Daniele Ratti di tornare a fotografare i luoghi simbolo di quella devastazione, per mostrare come quelle ferite fossero state superate e cancellate in pochi anni, ma anche per parlarci di un nuovo vuoto, di una nuova prova da affrontare.

Le immagini contrapposte del passato e del presente, scattate durante il lockdown di marzo-aprile, possono essere cruciali per riscoprire l’orgoglio che ha portato alla rinascita e possono essere lo stimolo per credere che anche oggi la città può e deve ripartire. Le parole di Antonio Greppi, primo sindaco di Milano dopo la Liberazione sono il manifesto più bello e commovente di questa tenace speranza: “Molto si è distrutto, ma noi tutto ricostruiremo con pazienza e con la più fiduciosa volontà”. E il suo messaggio ai milanesi non può che suonare attuale anche noi: "Ricomincia la storia degli uomini che credono soltanto nelle proprie virtù e nelle proprie opere e che considerano la libertà come la continuazione non prescindibile dell’adempimento consapevole dei propri doveri".

La storia di come e perché l’aviazione angloamericana decise di colpire così duramente il triangolo industriale italiano, Milano-Genova-Torino, è raccontata nelle prossime pagine dallo storico Umberto Gentiloni, che molto ha studiato e si è interrogato sui fatti della Seconda Guerra Mondiale. Quei bombardamenti, che causarono circa duemila morti e accelerarono la fuga da Milano, erano visti come necessari per far capitolare l’Italia e togliere un alleato alla Germania nazista.

Il mese di agosto del 1943 si era aperto nel segno della speranza: con la caduta del fascismo la libertà e la pace sembravano più vicine, invece si stava per aprire un durissimo biennio di guerra. I bombardamenti alleati dei giorni intorno a Ferragosto, per i quali furono usati tutti gli aerei inglesi disponibili (nella notte tra il 12 e il 13 agosto addirittura 504), sprofondarono Milano nell’incubo e la ridussero in macerie. Fu il momento più difficile della sua storia: svuotata dalla guerra e dall’esodo verso le campagne la città rimase più volte senza acqua, luce, gas e trasporti. Quattromila tonnellate di bombe colpirono 15mila edifici, distrussero il tessuto industriale e non risparmiarono luoghi simbolici come il Teatro alla Scala, il Duomo, Sant’Ambrogio e Santa Maria delle Grazie.

Il numero dei morti è relativamente contenuto, vista la quantità di ordigni e spezzoni incendiari caduti dal cielo, perché l’esodo da Milano era cominciato mesi prima. Già nella notte di San Valentino di quell’anno dalle basi inglesi erano partiti 142 Lancaster per colpire la città. Una sola ora di bombardamento aveva lasciato dietro di sé diecimila senzatetto. Le scuole vennero chiuse a tempo indeterminato e chi poteva lasciò la città. Molte famiglie trovarono ospitalità in Lomellina, nelle campagne del lodigiano, in Brianza e sui laghi. Cominciò un faticoso fenomeno di pendolarismo, chi riusciva lavorava a Milano ma ogni sera abbandonava la città. Anche alcune fabbriche cominciarono a spostare la produzione fuori città.

I mesi successivi furono più tranquilli e nessuno si sarebbe aspettato un’offensiva come quella di agosto. Il tempo però non venne sprecato e se oggi possiamo ancora ammirare i capolavori di Brera, i libri della biblioteca Braidense e soprattutto il Cenacolo di Leonardo da Vinci lo dobbiamo a persone illuminate come la direttrice della Pinacoteca Fernanda Wittgens che sollecitò senza sosta i lavori di protezione dei monumenti. Wittgens accompagnerà personalmente ogni spedizione di quadri e libri da Brera verso i rifugi che aveva individuato, nei caveaux delle banche milanesi, sui laghi lombardi, in ville e castelli del centro Italia e in Vaticano. Le opere sotto la sua protezione si salveranno tutte.

Alla fine di quell’estate si pensò che i bombardamenti fossero finiti, che non ci fosse più nulla da colpire, e per più di un anno la cronaca confermò quella percezione. Poi, il 20 ottobre 1944, una missione americana causò una delle più grandi tragedie della storia milanese. L’obiettivo degli aerei alleati quella volta erano tre fabbriche: Breda, Alfa Romeo, Isotta Fraschini. La missione inizialmente fallì, quando i piloti statunitensi tornarono sugli obiettivi tutto era confuso dal fumo dell’attacco precedente. Per un errore umano di cui nessuno ha mai pagato e per il quale non sono mai state fatte scuse ufficiali, le bombe vennero sganciate fuori bersaglio e colpirono i quartieri di Gorla e Precotto. Erano le undici e mezza di mattina e un ordigno centrò la scuola elementare “Francesco Crispi” di Gorla, si infilò nelle scale che portavano al rifugio dove stavano scappando più di 200 scolari. Morirono 184 bambini, le maestre e la direttrice. Sarà l’ultima ferita prima della fine della guerra.

Ancora oggi possiamo avere un’idea della quantità delle macerie del livello di distruzione della città in quei bombardamenti del 1943-44, andando a passeggiare la domenica sul Monte Stella. La collina artificiale dei milanesi venne costruita a partire dal 1947, insieme al nuovo quartiere QT8 progettato dall’architetto Piero Bottoni, con i detriti della guerra.

La “montagnetta” è un simbolo della ricostruzione operosa e della capacità di voltare pagina di una città che non si è mai arresa.

Milano, 8 Ottobre 2020

(*) Mario Calabresi curatore della mostra  “Ma noi Ricostruiremo”

 

Clicca qui per avere maggiori dettagli sulla mostra.

 

{"toolbar":[]}