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Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2013 - Risparmiatori e risparmiatrici, primi segnali di fiducia

L’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2013 è un progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo, basato su un sondaggio Doxa effettuato fra gennaio e febbraio 2013 intervistando 1.044 capifamiglia, correntisti bancari e/o postali. Il campione è rappresentativo per classi di età, professioni, titoli di studio e zone geografiche. Lo studio permette confronti temporali dal 1983 a oggi. Ogni anno l’indagine affronta un tema monografico: quest’anno le donne, cui è stato dedicato un campionamento aggiuntivo di 408 unità, che, sommate alle 277 presenti nel campione generale, restituiscono un campione rappresentativo di 685 soggetti, cui sono state somministrate 14 domande aggiuntive specifiche.
Anche l’indagine 2013 conferma che la vocazione risparmiatrice delle famiglie italiane è andata riducendosi nel corso degli anni. In parte, ciò si deve al graduale allineamento del modello di consumo e risparmio a quello di altri paesi europei. Tuttavia, il «non risparmio», per scelta o perché manca la necessità di risparmiare, è un comportamento in cui si riconosce solo poco più di un terzo del campione (34 per cento). Al contrario, per due intervistati su tre (66 per cento) risparmiare è ancora una necessità reale o almeno un obiettivo fondamentale. Ciò nonostante, nel 2012 è riuscito a farlo solo il 39 per cento degli intervistati: una quota non dissimile da quella degli ultimi anni, ma inferiore sia a quella di dieci anni fa, sia alla percentuale di coloro che vorrebbero risparmiare e non ci riescono.
L’indagine 2013, in effetti, presenta un quadro delle famiglie, risparmiatrici e non, che certo porta segni e cicatrici della crisi. Delle sue molte facce, due in particolare hanno interessato le famiglie italiane: primo, il calo dei redditi correnti e di quelli attesi al momento della pensione, e, secondo, l’andamento dei portafogli, ossia delle attività reali e finanziarie possedute.

Redditi ancora in sofferenza. Quanto al primo profilo, l’indagine rileva sì un calo dei saldi di soddisfazione del livello del reddito corrente (42,4 per cento) e del livello del reddito atteso al momento del pensionamento (12,2 per cento), ma lascia anche intravedere gli spiragli di una possibile fine della crisi, quanto meno nella sua forma acuta. Il numero degli intervistati che prevede per la propria famiglia un aggravamento nell’anno rispetto all’anno precedente è diminuito rispetto all’indagine 2012 (passando dal 59,3 al 55,6 per cento). In secondo luogo, accanto ai tagli delle spese sono emersi i segni di reazioni positive alla crisi stessa, come la ricerca coronata da successo di un nuovo lavoro o di una nuova attività (7,7 per cento).Qualche germoglio di speranza sembra essere spuntato anche per il reddito pensionistico. Benché i più ne prevedano la riduzione, gli intervistati hanno dichiarato reazioni differenti da quelle del 2012 rispetto all’ultima riforma. L’anno scorso a prevalere era lo scontento. Quest’anno al fondo di scontentezza, pur presente, si è associata una maggior propensione a cercare forme integrative di entrate negli investimenti assicurativi e pensionistici. In termini di traduzione pratica in scelte di investimento, questa propensione incontra però dei limiti nell’andamento, ancora molto compresso, dei redditi.

Ma i portafogli riprendono valore. Quanto al secondo profilo della crisi, quello finanziario, il 2012 ha segnato una netta svolta rispetto all’anno precedente. È finita, in sostanza, la paura per ciò che sarebbe potuto accadere ai titoli di Stato italiani, e ciò è ben dimostrato dalla fiducia a essi accordata dai risparmiatori (questi titoli sono pur sempre la prima forma di investimento della liquidità). Per conseguenza, il valore degli investimenti nei titoli di Stato è risalito e, accompagnato dalle performance positive delle gestioni e dei mercati azionari, ha fatto crescere il valore dei portafogli delle famiglie. Il portafoglio benchmark calcolato dal Centro Einaudi è aumentato in valore del 15 per cento nel 2012, mentre era sceso del 3 per cento l’anno precedente.

Primo obiettivo, la sicurezza. Non sappiamo davvero se la crisi finirà presto, ma i numeri dell’indagine autorizzano qualche speranza. L’incertezza in questo caso è d’obbligo, e identifica il mood dei risparmiatori al momento di compiere scelte di investimento. Non sapendo che cosa ha in serbo il futuro, continuano a orientarsi verso forme di investimento sicure e, al limite, capaci di produrre un reddito, pur se contenuto. Sono lontani i tempi in cui si investiva per aspettare rendimenti molto lontani nel tempo e veder crescere il capitale. Adesso l’orizzonte ideale di un terzo dei risparmiatori è quello degli investimenti a un anno (il mercato monetario); quanto agli altri due terzi, ben di rado allungano lo sguardo oltre i tre anni.
Questo atteggiamento particolarmente protettivo nei confronti dei risparmi riflette due fenomeni. Innanzitutto, la scarsità del risparmio: ciò che è più scarso di un tempo, e si realizza meno facilmente, deve necessariamente essere meglio salvaguardato dalle bizze dei mercati, che tutti hanno ormai appreso essere ricorrenti. In secondo luogo, la maggior prudenza ha radici nel recente cambiamento di priorità nelle motivazioni. Un tempo, il risparmio era più abbondante e la sua destinazione privilegiata era l’acquisto di una prima o seconda casa. Adesso la prima ragione per risparmiare è tutelare i figli (14,5 per cento), proteggere il loro futuro economico, quasi a compensare il fatto che sono proprio le generazioni più giovani ad accusare gli effetti più gravi della crisi. Il Disease Index, calcolato per la prima volta in questa edizione dell’indagine, mostra infatti come la crisi abbia pesato di più su alcuni gruppi: gli individui con minori livelli di istruzione, i residenti nel Mezzogiorno e, appunto, i giovani. Anche la seconda motivazione – si risparmia per integrare la pensione o per la salute nella vecchiaia (12,7 per cento) – è tale da indurre a investimenti prudenti. Il risparmio previdenziale va protetto in ogni caso dai rischi della congiuntura, anche quando, come spesso accade, non si realizza attraverso strumenti specializzati (nei quali investe soltanto il 19 per cento del campione).
Il risparmio, in altri termini, non è più frutto di risorse aggiuntive rispetto al mantenimento del tenore di vita presente e futuro, come tali liberamente destinabili all’acquisto di un’abitazione più grande, magari non strettamente necessaria: è diventato una risorsa su cui contano i figli e su cui contare nella terza età e, pertanto, deve essere investito garantendo in primo luogo la sicurezza del capitale (54,2 per cento).
Tra gli elementi positivi che segnano un cambiamento rientra anche l’atteggiamento generale dei risparmiatori verso l’economia. Nell’indagine 2012, a prevalere erano sentimenti di sconforto e qualche volta di rigetto, che lambivano le istituzioni economiche e addirittura la fiducia nell’euro. Nel 2013 questo atteggiamento è cambiato. Sia pure con una discreta differenziazione all’interno del campione, le istituzioni europee e quelle finanziarie raccolgono consensi come validi difensori del risparmio, mentre permane la sfiducia nei confronti della politica nazionale. Se consistenti quote del campione continuano a pensare che l’euro abbia imposto all’Italia un cammino troppo duro, va citato il fatto che - per contro -  quasi raddoppiano le percentuali di coloro che sono convinti che l’euro sia più solido della lira (23,3 per cento) e ci abbia già evitato crisi peggiori (26,6 per cento). Si è fermato, insomma, quel processo di rigetto della moneta unica che nel 2012 costituiva un elemento di timore.

Nelle scelte prevale la prudenza. Tornato il sereno? Non proprio. Il risparmiatore ha memoria da elefante e, anche quando le acque si calmano, ben si guarda dal camminarci sopra. Gli investimenti nel 2012 sono stati un terreno minato e poco praticato; l’impiego preferito è stato decisamente la liquidità (il 25,4 per cento degli intervistati detiene in tale forma oltre il 50 per cento dei suoi averi), atteggiamento tipico di quando non si sa che cosa fare.
Gli intervistati dichiarano che, nonostante le migliori condizioni dei mercati, si sentono disorientati al momento di scegliere gli impieghi. La maggiore difficoltà è la scelta del momento in cui investire, il market timing (51,2 per cento); segue l’asset allocation (46,6 per cento), infine la selezione degli strumenti (45 per cento). Queste difficoltà, unite al fatto che in larga maggioranza (46 per cento) gli italiani non dedicano tempo o attenzione all’informazione in materia finanziaria, fanno sì che il risparmio gestito si affermi come strumento in cui si ripone fiducia e di cui si è soddisfatti, indipendentemente dall’andamento dei mercati (nel caso delle azioni, la soddisfazione è invece legata ai profitti di Borsa). La diffusione del risparmio gestito (10 per cento) è ancora limitata e inferiore a quella degli altri paesi europei, ma tutto fa pensare che sia destinata a crescere se gli operatori sapranno cogliere i bisogni delle famiglie e rispondervi adeguatamente.
Se il 2012 è stato un anno positivo per le asset class finanziarie, non altrettanto può dirsi delle asset class reali. La casa è da sempre l’investimento ideale e tale si conferma nel 2013 (32,1 per cento). Tuttavia, la propensione ad acquistare nuove case cede, un po’ perché l’incertezza che grava sui redditi futuri fa riflettere due volte sull’opportunità di fare acquisti così importanti, un po’ perché per la maggioranza degli intervistati le case sono complessivamente troppo tassate.  A giudicare dalle risposte, il 2012 è stato un anno nel quale i portafogli eccessivamente investiti in case hanno cercato di riequilibrarsi, con ciò generando un aumento di pressione delle vendite nel mercato immobiliare. Ma è bene considerare che il mercato immobiliare è caratterizzato da cicli periodici e, forse, il 2012-2013 potrebbe aver coinciso con il punto di minimo del ciclo, sia delle costruzioni che delle compravendite e degli investimenti.

Le donne e il risparmio. L’indagine ha consentito di ricostruire alcune specificità dell’universo femminile sulle questioni che hanno a che fare con il reddito, il risparmio e, naturalmente, la crisi.
Una prima osservazione – in qualche misura prevedibile – è la rilevata maggiore fragilità economica delle donne rispetto agli uomini, dichiarata nel presente e temuta negli anni di ritiro dalla vita attiva. Rispetto agli uomini, peraltro, tali condizioni tendono maggiormente a concentrarsi in alcuni segmenti del campione, quelli dove sono più elevate le percentuali di donne non indipendenti dal punto di vista economico (12,4 per cento). La dipendenza, inoltre, per una quota stimabile tra  un quarto e un terzo dei casi, rappresenta non il frutto di una scelta, bensì una condizione subita come effetto dell’esclusione dal mercato del lavoro o dell’insufficienza del reddito pensionistico (e infatti le donne che lavorano e hanno titoli di studio medio-alti forniscono risposte più vicine a quelle della componente maschile del campione generale).
Un secondo risultato – importante e assai meno prevedibile – è che, nonostante nella maggior parte dei casi le donne apportino minori risorse al bilancio famigliare, sono tuttavia loro ad amministrarlo. Ossia si occupano non solo delle spese (72,6 per cento), ma anche in percentuale maggioritaria degli investimenti (59,6 per cento) e delle decisioni importanti di natura economica. Si tratta di un risultato tutt’altro che scontato e che dovrebbe probabilmente far riflettere coloro che studiano e realizzano i prodotti di investimento. Per esempio, è maggiore nelle donne (26 per cento) rispetto agli uomini (20,9 per cento) l’attenzione verso gli strumenti finanziari che hanno come finalità il miglioramento del futuro dei figli.
In terzo luogo, indagando sulla relazione fra impieghi del tempo e impegni di spesa, emerge da un lato che le donne dedicano più tempo al lavoro domestico e alle cure degli affetti che non al lavoro retribuito; dall’altro, tuttavia, che ben di rado ciò avviene per scelta, visto che due terzi delle intervistate dichiarano che, potendo scegliere, vorrebbero avere un maggior reddito da lavoro e non più tempo per le attività domestiche.
Infine, il sotto-campione femminile mostra singolarmente uno spaccato di soggetti che è sì consapevole della crisi e ne subisce gli effetti, ma, pur in condizioni di maggiore fragilità, dichiara ansie e paure inferiori a quelle degli uomini; anzi, per una donna su otto (12,3 per cento) la crisi «è un’occasione per progettare e rimettersi in gioco».

 

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