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Produzione industriale in calo solo parziale a gennaio

Produzione industriale in calo solo parziale a gennaio

Il calo della produzione industriale italiana a gennaio (-0,7% m/m) è stato più ampio delle attese (consenso Reuters: -0,1%, consenso Bloomberg: -0,4%), ma non annulla il balzo di dicembre, che pure è stato rivisto al ribasso a 1,2% m/m da una prima stima a 1,6%.

Il dato lascia l’output a un livello inferiore di -2,1% rispetto a quello raggiunto poco prima dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia (febbraio 2022). La produzione resta invece al di sopra dei livelli pre-pandemici (+0,6% rispetto a febbraio 2020).

Inoltre, il calo di gennaio è stato tutt'altro che diffuso, in quanto dovuto principalmente ai beni strumentali (-2% dopo il 3,3% di dicembre), e, in misura minore, ai beni intermedi (-0,6%, in diminuzione per il quinto mese consecutivo). Il calo della produzione di beni intermedi negli ultimi mesi suggerisce che le imprese specie dei settori energivori potrebbero aver sostituito le parti più a monte della catena produttiva domestica con importazioni di beni intermedi, per far fronte all’aumento dei costi degli input. Sul fronte opposto, i beni durevoli hanno registrato un forte rimbalzo (3,7% dopo il -2,6% di dicembre). I beni non durevoli e l’energia sono cresciuti solo marginalmente nel mese.

A differenza che in altri Paesi europei (Germania in primis), la produzione nei settori ad alta intensità energetica è calata ancora su base congiunturale a gennaio (-0,9% m/m), ma la tendenza di calo si è andata via via attenuando nel periodo più recente: la variazione negli ultimi tre mesi risulta pari a -2% t/t a gennaio, dopo un punto di minimo a -6,1% lo scorso settembre.

Da notare che le più ampie flessioni nel mese vengono da settori molto orientati all’export come il farmaceutico e la meccanica (-6,1% e -4,7% m/m, rispettivamente), per via sia di una domanda estera più debole che di un tasso di cambio meno favorevole (fattore che nei mesi scorsi aveva sostenuto le vendite specie verso i Paesi dell’area del dollaro, consentendo almeno in parte alla imprese esportatrici di preservare una buona competitività sui mercati esteri nonostante l’incremento dei costi di produzione domestica).

Se la produzione industriale in febbraio e marzo si mantenesse ai livelli di gennaio, risulterebbe poco variata nell'intero 1° trimestre, dopo essere calata di ben -1,4% nell'ultimo trimestre del 2022. Poiché le indicazioni sull’output provenienti dalle indagini sulle imprese manifatturiere hanno mostrato un aumento a febbraio, non sarebbe sorprendente vedere una tenuta della produzione anche nei prossimi mesi, grazie alla moderazione dei prezzi dell'energia.

In sintesi, l’industria, che è stata la principale responsabile del calo del PIL nello scorcio finale dello scorso anno, potrebbe quantomeno non frenare il valore aggiunto a inizio 2023. Ciò indica rischi al rialzo sulla nostra attuale previsione di un’attività economica stagnante nel trimestre in corso dopo il -0,1% t/t visto a fine 2022.

Al momento, le implicazioni della crisi bancaria americana sull’attività economica in Italia ci paiono assai limitate, a meno di una tracimazione dell’instabilità finanziaria anche al di qua dell’Atlantico, con l’eventuale conseguenza di una più drastica restrizione delle condizioni creditizie da parte degli intermediari finanziari, o di una riduzione della propensione a investire, motivata da maggiore incertezza, da parte delle imprese. Peraltro, se la crisi bancaria statunitense inducesse la BCE a ridurre l’entità della restrizione monetaria nei prossimi mesi, l'impatto netto per l’industria italiana potrebbe essere positivo (non si tratta comunque al momento del nostro scenario centrale).

Di recente, abbiamo rivisto al rialzo le nostre previsioni sulla crescita del PIL italiano quest'anno (dallo 0,6%, già ampiamente al di sopra del consenso negli ultimi 6 mesi, allo 0,8%), grazie alla moderazione dei prezzi energetici, mentre abbiamo ridotto la nostra previsione per il 2024 (dall'1,8% all'1,5%, che resta peraltro al sopra della stima media di consenso), sulla scia degli effetti ritardati della stretta monetaria della BCE.

 

Commento di Paolo Mameli, senior economist della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo

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