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Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2012


Sintesi della ricerca


L’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani – 2012 è un progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo, basato su un sondaggio Doxa effettuato fra gennaio e febbraio 2012 intervistando 1.053 capifamiglia, correntisti bancari e/o postali. Il campione è rappresentativo per classi di età, professioni, titoli di studio e zona geografica. Lo studio permette confronti temporali dal 1983 a oggi. Ogni anno l’Indagine affronta un tema monografico: quest’anno i cosiddetti baby boomer, ossia i nati tra il 1951 e il 1976. A essi è stato dedicato un campionamento aggiuntivo di 402 unità, che, sommate alle 600 presenti nel campione generale, restituiscono un campione rappresentativo di 1.002 persone, cui sono state somministrate 13 domande aggiuntive specifiche.

L’impatto della crisi sul tenore di vita e le capacità di risparmio
Il saldo tra i giudizi di sufficienza e insufficienza del reddito corrente, che aveva toccato il picco (71,7 per cento) nel 2002, l’anno dell’euro, scende al minimo storico (45,7 per cento), dal valore di 53,4 rilevato nel 2011 come conseguenza della ripresina del 2010. I più colpiti dalla crisi delle entrate sono i ventenni (–21,4 punti rispetto al 2011), le donne (–8,9), gli esercenti e artigiani (–10,3). Nel 2011, inoltre, raggiunge il picco (12,5 per cento, ossia un intervistato su otto, in crescita di 3 punti rispetto al 2011) la quota di chi dichiara il proprio reddito del tutto insufficiente al mantenimento del tenore di vita.
La crisi comunque ha colpito anche l’87,5 per cento che dichiara entrate sufficienti o più che sufficienti. Infatti, solo il 15,2 per cento degli intervistati ha dichiarato di non avere avuto alcun impatto dalla crisi. La riduzione dei consumi ha inciso soprattutto sulle spese per le vacanze (67,2 per cento) e per tempo libero e week end (68,3). Il 46,2 per cento ha intaccato i risparmi e il 36,9 ha rinunciato all’acquisto di un’auto o lo ha rinviato. Il 24,3 per cento si è messo in cerca di un nuovo lavoro o di una fonte di entrate integrativa, avendo successo solo in un caso ogni tre (6,7 per cento del campione).
Il risparmio è un comportamento ritenuto ampiamente utile o indispensabile dalla maggioranza del campione (61,5 per cento), ma la quota scende di quasi 10 punti rispetto al 2011 (71,1 per cento), probabilmente perché sono aumentate le persone che non riescono a risparmiare e assorbono psicologicamente anche in questo modo la loro situazione. L’accesso al risparmio segna nel 2012 il minimo storico: i non risparmiatori raggiungono il 61,3 per cento (52,8 nel 2011). Fra i diversi gruppi, in maggior difficoltà sono i ventenni (69,4 per cento i non risparmiatori), i residenti nel Sud (67,5) e nelle grandi città (66,7), le famiglie con reddito mensile inferiore a 1.600 euro (77,3 per cento). Come conseguenza del calo di 8,5 punti della percentuale di risparmiatori, scende anche la percentuale media ponderata della propensione a risparmiare, dal 4,2 per cento del 2011 al 4,1 per cento del 2012 (il valore era 7,2 nel 1994).

Le motivazioni del risparmio
Con la crisi cambiano anche le motivazioni del risparmio. Scende l’acquisto della casa: valeva il 25,7 per cento nel 2004, il 16,2 nel 2007, il 12,7 nel 2011 e si contrae fino ad appena il 5,5 per cento nel 2012. Toccano invece il massimo le motivazioni ereditarie o di trasferimento di parte della ricchezza ai figli: il 19,5 per cento risparmia per aiutarli, pagar loro gli studi o lasciare un’eredità. Si conferma in lenta crescita negli anni la motivazione a integrare la pensione (12,8 per cento nel 2012 e 9,3 nel 2005).
Crisi e riforma previdenziale fanno scendere anche dal 26 al 20,5 per cento il saldo sulle aspettative di sufficienza e insufficienza delle entrate al momento della pensione (domanda rivolta ai non pensionati; il valore 2012 risulta inferiore di 37,5 punti al massimo storico del 2002). La riforma è compresa (il 49,5 per cento pensa che sia giusto lavorare più a lungo) ma il 48,9 dichiara che è sbagliato cambiare le regole troppo spesso. I giudizi positivi, peraltro, sono più frequenti tra i giovani. La riforma appare integrata nelle aspettative individuali. Il 43,1 per cento si aspetta una pensione pari o inferiore a 1.000 euro e solo il 9,6 ritiene che sarà superiore a 1.500 euro.
Nonostante tale consapevolezza, la quota di sottoscrittori di un fondo pensione, negoziale o aperto, è ancora solo del 10,5 per cento. Il tasso di adesione è maggiore della media fra i trentenni (13,6 per cento), i cinquantenni (14,3 per cento), i residenti nel Nord-Ovest (15,1 per cento), i percettori di un reddito mensile superiore a 2.500 euro (19,6 per cento). Sono preferite (53,2 per cento) le gestioni monetarie, miranti a salvaguardare il capitale. Metà dei dipendenti (50,2 per cento) continua però a scegliere il Tfr, la cui destinazione attesa è in primo luogo sostenere i figli (38 per cento), poi investirlo per avere un reddito integrativo (19,2 per cento), infine impiegarlo per viaggi e hobby (10,3 per cento).

La scelta degli impieghi del risparmio: difficoltà e livelli di soddisfazione
Quasi la metà (47,3 per cento) del campione dichiara che investire è diventato più difficile rispetto all’anno precedente: al primo posto (25,7 per cento) la difficoltà a comprendere il rischio legato ai diversi impieghi. Per questo, il principale obiettivo è la sicurezza (53 per cento, contro il 34 nel 1988). Seguono il rendimento immediato (16,6 per cento, segno della necessità di cedole e dividendi in anni difficili) e la liquidità (15,8 per cento). Trascurabile l’obiettivo di crescita del capitale a medio-lungo termine (7 per cento), sia perché subordinato agli obiettivi prudenziali, sia perché nel passato recente le promesse degli investimenti di lungo termine non sono state sempre mantenute.
Il 21,7 per cento degli intervistati è possessore di obbligazioni, che si confermano il principale impiego finanziario degli italiani (in calo tuttavia, la quota era del 24,6 per cento nel 2011). Del resto, la crisi dei debiti sovrani ha lasciato tracce: scendono dal 23,7 al 17,8 per cento coloro che giudicano le obbligazioni un investimento sempre sicuro e salgono al 28,5 per cento coloro che lo giudicano molto rischioso. La quota dei patrimoni investita in obbligazioni è del 24,2 per cento, senza variazioni significative per età.
Le obbligazioni sono l’investimento preferito dei piccoli risparmiatori (32,2 per cento) e, nel complesso, soddisfano la maggior parte degli investitori (73,7 per cento). Il saldo tra soddisfatti e insoddisfatti (+57,3 per cento) è il più elevato fra quelli relativi agli impieghi finanziari.
Gli investitori in azioni negli ultimi cinque anni sono il 12,5 per cento del campione (valore identico al 2011). Si tratta di esperti che amministrano personalmente e attivamente l’esposizione al rischio, più numerosi della media fra laureati (32 per cento), imprenditori e liberi professionisti (31,2), individui con reddito superiore a 2.500 euro mensili (30,8). Gli investitori nel risparmio gestito sono il 10,9 per cento, in lieve calo sul 2011: da sempre la dinamica del settore ha risentito delle oscillazioni dei mercati, e così è avvenuto anche quest’anno. Tra i possessori, il 18,3 per cento è un nuovo sottoscrittore. Le due ragioni principali di sottoscrizione sono affidare i propri risparmi a esperti (27 per cento) e ridurre i rischi degli investimenti (26,1 per cento).

Proprietà e acquisto della casa
Il 77,1 per cento del campione abita in una casa di cui è proprietario. La percentuale risulta relativamente poco sensibile al reddito (67,6 per le famiglie con reddito mensile inferiore a 1.600 euro) ed è elevata anche fra i ventenni (52,8 per cento), aiutati probabilmente nell’acquisto dalla famiglia. L’8,9 per cento del campione ha comprato un immobile negli ultimi dodici mesi e per il 6,4 si è trattato dell’acquisto della prima casa. Il 21,7 per cento, inoltre, sta rimborsando un mutuo sottoscritto per un immobile. Nonostante gli aggravi fiscali, il saldo tra soddisfatti e insoddisfatti è pari a +80,8 per cento, ossia il più elevato tra tutte le classi di investimento.

Credito al consumo e rapporti con le banche
Il credito al consumo si conferma strumento cui ricorre una proporzione non irrilevante (ancorché non maggioritaria) delle famiglie: il 18,5 per cento sta rimborsando una rata per acquisti finanziati a credito ma solo il 2,6 più di una. La propensione cresce al crescere del reddito, il che è segno di sostenibilità. Sono finanziati a credito l’automobile (49 per cento) e l’arredamento o ristrutturazione della casa (16,5 per cento). Per il 70 per cento dei sottoscrittori occorre al massimo un anno di entrate per estinguere il prestito.
L’82,1 per cento degli intervistati si avvale di una sola banca, il 6,1 ne usa almeno due. In generale, il rapporto con la banca è marcato da significativa fedeltà. La percentuale di patrimonio finanziario tenuta «liquida» sul conto sale ancora nel 2012 per effetto della crisi. Coloro che lasciano l’intero patrimonio sul conto corrente passano dal 9,1 al 15 per cento; coloro che detengono in forma liquida almeno metà delle proprie disponibilità passano dal 9,3 al 12,3 per cento. Il 23,6 per cento utilizza la banca anche come consulente per gli investimenti. Il 92,9 per cento possiede almeno una carta Bancomat e i servizi fruiti online sono in aumento dal 26,3 per cento (2011) al 30,7 per cento del campione. Il 9,9 per cento si dichiara «molto» soddisfatto della propria banca e la stragrande maggioranza (74,6 per cento) «abbastanza» soddisfatto.

Chi sono e come vivono i baby boomer
Nel 2012 l’approfondimento annuale ha riguardato un campione di 1.002 baby boomer, ossia di nati tra il 1951 e il 1976, a loro volta suddivisi in early (nati tra il 1951 e il 1960), median (1961-1970) e late baby boomer (1971-1976). Sono laureati in un caso su cinque. Hanno (in media) 1,8 figli (e, sempre in media, 1,3 figli a carico).
Solo il 4,5 per cento dei boomie si è dichiarato finanziariamente non indipendente nei dodici mesi precedenti l’intervista. L’89,2 per cento, in particolare, è stato del tutto indipendente e il 6,3 lo è stato parzialmente.
Gli uomini sono del tutto indipendenti più spesso delle donne (94,7 contro 79,6 per cento), il che conferma una differenza di genere ancora piuttosto elevata e pari a 15,1 punti. In media i baby boomer contano su 1,7 fonti di entrate stabili. L’83,1 per cento ha un reddito da lavoro e in quasi un caso su due (45,4 per cento) si ha in famiglia anche il reddito di un coniuge o convivente. L’11,3 per cento dichiara redditi da case o investimenti, il 4,1 redditi da un’azienda. Tra i baby boomer, oltre il 19 per cento sono imprenditori e liberi professionisti). L’8,2 per cento è in pensione.
Il saldo sul reddito corrente (+47,8) è lievemente migliore del saldo espresso dal campione generale (+45,7). Gli early boomie hanno un saldo di 52,9, dovuto al loro ingresso ormai lontano in un mercato del lavoro ancora fondamentalmente remunerativo.

I baby boomer a confronto con i genitori e preoccupati per i figli
Nel confronto con la generazione dei genitori, i boomie che ritengono di essere regrediti (40,9 per cento) nel reddito superano quelli che si giudicano progrediti (20,2 per cento). Questo vale per tutti gli aspetti della vita materiale, salvo che per le condizioni di salute, giudicate comparativamente migliori.
A dichiarare di non essere stati toccati dalla crisi sono il 17,3 per cento degli early boomie, il 17,1 dei median e il 15,6 per cento dei late boomie (la quota sul campione generale è lievemente inferiore: 15,2 per cento). I meno colpiti sono stati i single senza figli (21,2 per cento quelli non toccati), i più colpiti i single con figli (8,6 per cento appena i non toccati). L’1,1 per cento dei boomie ha perso il lavoro nell’ultimo anno.
La vera priorità del loro risparmio sono i figli, i quali nel caso degli early e median boomer si avviano alla vita autonoma. Cominciando dagli early, il 3,2 per cento risparmia per lasciare un’eredità ai figli, il 6,3 per la loro istruzione e il 9,5 per aiutarli nei primi anni di vita autonoma: il motivo ereditario nel suo complesso vale dunque il 19 per cento per questo sottogruppo; sale poi al 20,9 per cento fra i median boomie e scende al 9,3 fra i late, che risparmiano soprattutto per l’istruzione dei figli, ancora in età scolare.
I non risparmiatori sono il 60,1 per cento (contro 61,3 nel campione generale). I baby boomer risparmiatori sono quindi il 39,9 per cento. Il numero di figli a carico incide sulla capacità di risparmio: i risparmiatori sono il 43,7 per cento fra coloro che non hanno figli. La nascita di un figlio riduce di circa 3 punti la percentuale (da 43,7 a 40,3); il secondo figlio fa perdere altri 4 punti (36,2), ma la vera e propria caduta, di oltre 21 punti rispetto al gruppo precedente, arriva con il terzo figlio (14,6).

Gli impieghi del risparmio e le attese pensionistiche
Il risparmio gestito attrae l’11,7 per cento dei boomie, contro il 10,9 per cento del campione generale. Le tre coorti generazionali hanno acquistato i fondi per motivi in parte diversi. Gli early boomie li hanno comprati per controllare il rischio (63 per cento); i median boomie per delegare a professionisti esperti la gestione del risparmio (44 per cento), diversificando (46 per cento). I late boomie, infine, hanno sottoscritto i fondi anche per migliorare il rendimento rispetto al fai-da-te e per raggiungere mercati altrimenti inaccessibili (32 per cento).
La quota di possessori di obbligazioni è pari in media al 21,5 per cento (21,7 nel campione generale), con un picco però nel Nord-Ovest (28,2) e nel Nord-Est (29,2) e una presenza nettamente minore al Sud (11,4 per cento).
Il rapporto con la Borsa è invece molto guardingo. La quota di baby boomer che negli ultimi cinque anni ha compravenduto azioni è pari al 12,6 per cento, come nel campione generale. Tale quota è più alta tra gli early boomer (14,8 per cento) e tra i residenti nel Nord-Ovest (17,3) e nel Nord-Est (17,9), mentre si abbassa notevolmente al Sud (4,4 per cento).
La durata delle operazioni varia dal trimestre (8-16 per cento) a un anno (13-19 per cento) a tre anni (36-54 per cento); solo di rado eccede tali limiti, a dimostrazione dello scarso interesse dei baby boomer per gli investimenti protratti nel tempo.
Il 6,6 per cento dei boomie ha comprato la prima casa nei dodici mesi precedenti l’intervista (6,4 nel campione generale). Gli acquisti immobiliari nel loro complesso hanno interessato tuttavia ben il 9,4 per cento dei baby boomer, considerando, oltre alle prime, anche le seconde case (2 per cento), quelle acquistate a fini di investimento (1,3 per cento) e per i figli (1,4 per cento). Per i boomie la casa è l’investimento più sicuro (62 per cento) o addirittura il miglior impiego possibile (42 per cento), nonostante ritengano che il valore dei propri immobili sia sceso dello 0,8 per cento nell’ultimo anno in conseguenza della crisi.

I baby boomer hanno in banca in forma liquida (o come deposito a scadenza) il 33,8 per cento della propria ricchezza finanziaria. La liquidità viene detenuta per i normali pagamenti (88,6 per cento), di gran lunga il primo motivo. Nell’anno della «grande crisi» compaiono però con percentuali di un qualche peso motivazioni in altri tempi sullo sfondo. Il 12,6 per cento dichiara che preferisce accontentarsi di quello che gli dà la banca, l’11,7 tiene i soldi in banca in attesa di investirli (quando si ridurrà la volatilità, magari). Il 33 per cento afferma di tenere i soldi sul conto perché «lì non si perdono», il 17,3 per cento ce li lascia perché «non saprebbe dove investirli».
Dopo l’ultima riforma previdenziale i boomie si aspettano di andare in pensione a 65,4 anni (early boomie), 65,5 anni (median) e 66,8 anni (late boomie). Dichiarano altresì un tasso di rimpiazzo atteso del reddito da lavoro che va dal 58 per cento degli early al 56 dei median al 53 dei late boomer, numeri che confermano una percezione piuttosto chiara della realtà. A seguito della riforma il 23,8 per cento dei boomie ha dichiarato di avere risparmiato di più. Il 17,6 per cento ha sottoscritto uno strumento previdenziale e il 3,2 per cento ha aumentato i contributi alla gestione integrativa già in essere. I possessori di un fondo sono però in media appena il 13,5 per cento (dal 14,5 degli early all’11,1 dei late).

Al giro di boa
• L’Indagine 2012 mostra che la crisi dei bilanci famigliari non è finita: si osservano però reazioni attive sia nel controllo della spesa sia nella ricerca di nuove entrate.
• Il risparmio risulta meno accessibile. Le destinazioni prioritarie sono la protezione del futuro dei figli e l’integrazione della pensione. Scema l’interesse per la casa, quantunque giudicata un buon investimento.
• Negli investimenti le famiglie adottano una tattica attendista. Aspettano che il peggio sia passato prima di uscire dalle forme sicure, come il conto corrente bancario.
• Sono percepite come più rischiose che in passato le obbligazioni, un tempo impiego finanziario preferito.
• I boomie sono l’80 per cento della forza lavoro e il 60 per cento del campione. Sono state deluse le loro aspettative di generazione di «consumisti», in particolare quelle degli early e median. Sono ben inseriti nel lavoro e risparmiano per i figli.
Siamo al giro di boa. Mentre l’Europa deve costruire una nuova governance dell’euro, l’Italia deve impostare investimenti migliori e più produttivi e le famiglie devono fare i conti con il ritorno a un’austerità dei consumi, nonché con la necessità di lavorare di più e più a lungo pagando un’aliquota fiscale mediamente maggiore. Il 2011 chiude un’epoca, durata molti decenni, di consumi probabilmente eccessivi, ma per aprirne una nuova non si può che partire dai sacrifici, necessari per girare la boa ma anche per ripristinare un tasso di risparmio corretto rispetto sia ai percorsi di vita individuali sia alle necessità del quadro macroeconomico.

 

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