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Economia

Scenari: elezioni presidenziali francesi 2022

Cosa accadrà al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi 2022? Quali questioni ne determineranno il risultato?

Nel suo articolo pubblicato su Linkiesta magazine - Turning Points in collaborazione con il New York Times, il giornalista Francesco Maselli ragiona sui principali temi di dibattito che segneranno l’appuntamento elettorale francese. Le elezioni presidenziali sono l’evento politico europeo più importante di questo 2022 e sembravano un terreno di scontro perfetto tra la visione aperta ed europeista di Emmanuel Macron e quella più scettica sulla globalizzazione e sul cosmopolitismo, rappresentata dalla leader del Rassemblement national Marine Le Pen e il fondatore di Reconquête, Éric Zemmour.
 

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Scenari 2022

La politica francese in vista delle Presidenziali 2022

08:32

La cerimonia allestita al Pantheon, il 30 novembre 2021, dava il senso di questo confronto. Quella sera, il presidente Emmanuel Macron dava il benvenuto al feretro di Josephine Baker, cantante franco-americana, prima donna nera a ottenere il diritto di riposare tra i grandi di Francia.

Poco prima, la bara con dentro della terra e degli oggetti a lei cari (la salma non è stata traslata da Monaco, dove è sepolta) aveva attraversato la rue Soufflot, decorata per l’occasione con un lunghissimo tappeto rosso e le sue foto. Una cerimonia toccante, seguita da migliaia di persone raccolte nelle strade attorno a uno degli edifici più simbolici della Repubblica. In quest’occasione, Macron non ha inventato nulla: la Francia è abituata a ricordare in grande stile i suoi eroi nazionali, è uno dei modi in cui si alimenta la grandeur e la convinzione di essere un paese speciale, capace di dare continuità alla sua storia, dove individualità e nazione hanno lo stesso significato.

Dal Pantheon alle elezioni: il significato politico del ricordo di Josephine Baker

Tuttavia, la cerimonia aveva anche un significato politico, e quindi elettorale. Non è casuale il ricordo di una cantante nera nata negli Stati Uniti, divenuta famosissima in tutto il mondo grazie alla scelta di emigrare in Francia e utilizzare le possibilità offerte dalla République.

Far entrare Josephine Baker tra i grandi di Francia era un modo di rispondere a Éric Zemmour, candidato da indipendente alla presidenza della Repubblica con una piattaforma molto chiara: la grandeur francese è in declino, assistiamo a uno scontro di civiltà tra Oriente e Occidente di cui la Francia sarebbe il fronte, il punto di partenza del grand remplacement, il “rimpiazzo” della popolazione di etnia caucasica giudaico-cristiana con quella arabo-musulmana. Tutto ciò aggravato da una generale «femminizzazione» della società occidentale, più debole, «impotente» di fronte all’invasione.

«La mia Francia è Josephine», esclama invece Macron, tinteggiando la sua idea di paese, un paese in cui le diverse anime, sempre più spesso in contrasto, sono finalmente «riconciliate». Nel lirismo c’è anche un messaggio politico evidente, in aperto contrasto con quelle che Macron ha più volte definito «passioni tristi», in grado di rendere il paese più violento e meno inclusivo. Éric Zemmour è stato condannato nel 2011 per provocazione alla discriminazione razziale per aver affermato: «Perché alcune categorie sono controllate 17 volte in mezzo alla strada? Perché la maggioranza degli spacciatori sono neri e arabi. È così, è un fatto». Una condanna simile a quella ricevuta nel 2018 per aver detto che ai musulmani bisognava imporre una scelta «tra la Francia e l’islam», una religione che per Zemmour non è compatibile con la République, e per aver detto che il paese «subisce un’invasione da trent’anni. In moltissime periferie francesi, dove molte ragazze indossano il velo, c’è una lotta per islamizzare il territorio».

La parabola politica di Zemmour ne “L’Arcipelago francese”

L’ascesa di Zemmour non è soltanto dovuta alla crescente influenza dell’islamismo radicale, un problema di ordine pubblico e di mancata integrazione non da poco che il presidente in questi anni ha provato a contenere, non sempre riuscendoci visti i ripetuti attentati. Ma è anche un sintomo di un paese sempre più diviso. Jérôme Fourquet, direttore del dipartimento opinioni dell’Istituto di sondaggi Ifop, ha scritto un lungo e documentatissimo saggio che si intitola L’Arcipelago francese. La tesi di Fourquet è che la Francia, malgrado l’idea comune che la racconta come una nazione unita e omogenea, si stia «disarticolando», e stia diventando un arcipelago di tante isole che non riescono più, insieme, a fare comunità.

L’impatto della guerra in Ucraina sulle elezioni presidenziali francesi

La guerra in Ucraina, tuttavia, ha cambiato tutto. La guerra ha avuto un impatto deflagrante sulla campagna presidenziale, mettendola di fatto in pausa. I principali candidati hanno deciso di tenere ugualmente le iniziative, i dibattiti televisivi continuano, così come i comizi: l’attenzione dei media è tuttavia completamente altrove. Il contesto politico è quindi molto difficile da leggere, anche la strategia di Emmanuel Macron ha funzionato: per tutto il mandato, il presidente ha lavorato con successo per mantenere lo status quo prodotto dalla sua elezione del 2017. Da un lato i partiti tradizionali, Républicains e socialisti, in crisi di identità e consenso, dall’altro gli estremi, la France Insoumise e il Rassemblement national, incapaci di trovare una strada per costruire una piattaforma credibile e sfidare il presidente.

La leadership di Marine Le Pen comincia a mostrare i suoi limiti. La presidente del Rassemblement national immaginava di iniziare la sua terza campagna elettorale consecutiva sulle ali dell’entusiasmo di una vittoria. E invece, alle elezioni regionali dello scorso giugno, è arrivata l’ennesima sconfitta: favorito in almeno tre delle tredici regioni del territorio metropolitano, il Rassemblement national ha perso tutti i ballottaggi, con risultati addirittura peggiori rispetto al 2015 (quando aveva sì perso, ma di pochissimo e in un clima completamente diverso).

Così, la strategia di “normalizzazione” e di “banalizzazione” portata avanti in questi anni, fatta di dichiarazioni assennate sull’euro e sull’Europa, toni smorzati e ricerca di una classe dirigente più presentabile e vicina alla destra tradizionale, è andata in frantumi.

L’ascesa di Zemmour, che ha conosciuto due momenti di grande forza, in autunno 2021 e a febbraio 2022, sembra rallentata dalla guerra e dalle sue posizioni molto favorevoli a Vladimir Putin. La sua scelta di dichiararsi contrario all’accoglienza dei profughi ucraini ha fatto il resto, e nei sondaggi è ancora lontano dalla qualificazione al secondo turno.

Il contesto è dunque molto favorevole per Emmanuel Macron, che come presidente uscente beneficia anche del cosiddetto effetto rally ‘round the flag: durante le crisi, l’elettorato ha un riflesso naturale, si stringe intorno a chi è al potere. In più, secondo moltissimi sondaggi, l’elettorato francese è abbastanza convinto che nessun candidato farebbe meglio di Macron, se eletto in primavera.

È forse scontato dire che è ancora presto per prevedere i risultati. Tuttavia, la strada sembra portarci verso un esito ben chiaro.

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