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Economia

Scenari: Joe Biden alla prova del fronte eversivo

Capitol Building
Capitol Building

A poco più di un anno dall’insediamento del presidente democratico Joe Biden, l’America si trova ad affrontare un contesto internazionale molto complicato. Nel suo editoriale che apre Linkiesta magazine - Turning Points in collaborazione con il New York Times, il direttore Christian Rocca ragiona sull’impatto dell’assalto a Capitol Hill, uno dei momenti più bui della storia recente degli Stati Uniti.
L’invasione russa dell’Ucraina, l’espansionismo cinese, la grande inflazione e il rallentamento del commercio mondiale sono tutte enormi sfide per la principale potenza del pianeta. E tuttavia non sono i soli problemi che deve affrontare il nuovo presidente.
Esiste infatti un fronte interno, una situazione politica tutt’altro che pacificata, che alimenta le divisioni di un paese che negli ultimi anni si è scoperto molto nervoso. D’altronde non c’è giornale o show televisivo americano o cocktail party di Washington dove non si parli del tentativo di colpo di Stato in corso orchestrato da Donald Trump in vista delle elezioni del 2024, dopo la prova generale del 6 gennaio 2021. 

 

 

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Le sfide della politica americana post Trump

13:46

Capitol Hill: un precedente delicato per l’ordinamento americano

Quel 6 gennaio, scrive il direttore, su esplicita indicazione di Donald Trump alcune centinaia di arditi del movimento antidemocratico hanno preso d’assalto il Congresso, assediato i parlamentari e minacciato di impiccare il vicepresidente Mike Pence perché non aveva sposato in pieno la Grande Bugia trumpiana delle elezioni rubate da Joe Biden.
Quella mattina sono morte cinque persone, sono stati feriti 138 poliziotti e settecento scalmanati sono stati arrestati. Christian Rocca nota come questo fatto senza precedenti, eseguito in diretta televisiva, con i deputati e i senatori costretti alla fuga o asserragliati dentro gli sgabuzzini di Capitol Hill, sia diventato semplicemente un caso di cronaca, non un pezzo di storia, come invece avrebbe dovuto. Una sorta di zuffa da condividere su Twitter, una sciocchezza, un modo contemporaneo di fare politica. Questa sottovalutazione è un problema, perché si riverbera sulla dinamica politica di tutti i giorni: secondo Rocca il tentativo di golpe è ancora in corso, con l’esperienza di chi ci ha già provato una volta e con le attività legislative volte a sopprimere la democrazia in particolare negli Stati a maggioranza Repubblicana, dove i trumpiani hanno nominato funzionari lealisti nelle commissioni elettorali e hanno presentato regole che trasferiscono alle assemblee legislative il potere di nominare i delegati al collegio presidenziale nazionale che elegge formalmente il presidente degli Stati Uniti, togliendolo al semplice computo aritmetico dei voti.
Il punto è che questa ricostruzione, argomenta Rocca, non è un’opinione, non è un fatto contestato, in un primo momento ha preso di sorpresa anche gli stessi familiari di Trump e i media più vicini alle sue posizioni: le loro email del sei gennaio lette al Congresso hanno dimostrato che persino loro erano preoccupati dell’assalto a Capitol Hill e per questo supplicavano il presidente di fermarsi. Trump naturalmente non si è fermato, e quindi è avvenuto un repentino cambio di posizioni da parte dei suoi sostenitori, che si sono allineati alla Grande Bugia e al colpo di Stato, scrive il direttore de Linkiesta, che si mostra sorpreso dalla mancanza di reazioni: ne parlano tutti, ma non interviene nessuno.
Le commissioni della Camera timidamente ne chiedono conto all’ex staff del presidente, i procuratori mettono sotto processo la manovalanza del 6 gennaio, ma Donald Trump resta poco toccato dalle conseguenze dell’attacco. Secondo Rocca il Partito Democratico ha una responsabilità, perché si concentra su battaglie probabilmente meno rilevanti, come quella per tutelare i pronomi percepiti, piuttosto che schierarsi in modo convinto in difesa della democrazia. Cosa accadrà se alle elezioni di metà mandato il Partito Repubblicano di Trump conquisterà la maggioranza alla Camera? Difficile immaginare anche le timide audizioni sui fatti del 6 gennaio 2021.
C’è quindi una responsabilità politica del presidente Joe Biden in questa corsa verso il precipizio, sostiene Rocca. Il presidente agisce in questo modo perché ritiene che non sia il momento di esacerbare gli animi, ma non è chiara l’utilità di non offendere la sensibilità di chi sta sovvertendo le regole democratiche e lo spirito repubblicano degli Stati Uniti.
La responsabilità è di Biden, anche se il principale incosciente è l’Attorney General Merrick Garland, oggi il paracadute di Trump. Il ministro della Giustizia ha deciso infatti di non perseguire il palese attacco alla democrazia di Trump, per evitare di politicizzare l’apparato federale. Una decisione maldestra che poteva aver senso sull’attacco sventato del 6 gennaio, ma inspiegabile visto che il tentativo di golpe è in corso. Le forze dell’ordine hanno arrestato o messo sotto processo gli esecutori materiali dell’assalto al Congresso, senza occuparsi dei mandanti né di sventare le mosse successive che, come detto, stanno cuocendo con metodi legali, con nuove leggi e con la nomina di funzionari che al momento del conteggio dei voti non risponderanno alle scelte degli elettori, ma alle indicazioni dei fedelissimi di Trump.

I Democratici si illudono che senza la Casa Bianca Trump non sia pericoloso, l’ex presidente sta preparando, ancora una volta alla luce del sole, la rivincita che non farà prigionieri. Ogni giorno, i grandi giornalisti d’inchiesta americani e gli opinionisti conservatori svelano i dettagli della preparazione meticolosa di ciò che si è visto in diretta a gennaio 2021, quando Trump e i suoi hanno tentato in tutti i modi possibili di tenersi la Casa Bianca.

Le cronache raccontano che i trumpiani hanno provato a coinvolgere l’esercito, a piegare le regole costituzionali e le leggi statali a proprio favore, minacciando i funzionari pubblici che avrebbero dovuto ratificare il risultato elettorale a favore di Biden. Il movimento globale contro la democrazia liberale è nato quasi come una provocazione intellettuale nell’Ungheria di Viktor Orbán. Gli elettori americani lo hanno respinto temporaneamente eleggendo Biden e la controffensiva si è diffusa ovunque.
Adesso il movimento antidemocratico si sta riorganizzando, avverte Rocca, prima di concludere che il 2022 sarà un anno decisivo, con la lenta uscita dal Covid, la ripresa economica e le tensioni con la Cina. L’Italia non dovrà sprecare la formidabile capacità di governo di Mario Draghi, magari assieme alla Francia di Emmanuel Macron che dovrà respingere la minaccia nazionalista di Marine Le Pen e quella populista di Éric Zemmour.
Il campo principale del mondo democratico resta però l’America, la città splendente sulla collina, a prescindere di come vadano le elezioni di midterm novembre. Ciò che conta, adesso, è trovare il coraggio di fermare l’ascesa al potere di un eversore, di tutelare lo stato di diritto e di salvare il mondo libero.

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