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Cultura

Be Real e Tik Tok: le app della Generazione Z

La Generazione Zeta viene spesso romanzata. Un approfondimento in collaborazione con Linkiesta.

La Generazione Zeta comunica in modo diverso da noi che abbiamo fretta di inquadrarla e dai media con toni millenaristici. Ha altre priorità: è meno materiale di come la raccontano. Per chi è nato dopo il 1997, anche fare la rivoluzione è una parola. O una foto.
«Fare la rivoluzione? È una parola!» è proprio il titolo dell’articolo di Stefano Pistolini sul magazine di Linkiesta in collaborazione con il New York Times. Una contronarrazione all’idea secondo cui i ragazzi di oggi parlerebbero solo di denaro, legando alle loro condizioni economiche eventuali insicurezze e frustrazioni.
Una visione da correggere questa in cui il motore del mondo è la disponibilità economica. «Non dovete credere alla “generazione-apocalisse” immortalata dai media – scrive –. La tormenta digitale pare aver ormai scaricato a terra il suo potenziale centripeto, quel gorgo che ha risucchiato le attenzioni dei teenager per un decennio. Possiamo ipotizzare che stia ricominciando (mezzo secolo dopo l’ultima volta?) un’epoca della parola? Confronto, dibattito, scambio culturale, contrapporsi d’intelligenze».

Tutto è conversazione, di nuovo. Sembra il claim di una piattaforma fallita, magari Clubhouse, una meteora di cui i giornali – per un po’ – sembrarono innamorarsi. Ora associamo la Generazione Zeta a TikTok, che però comincia a “boomerizzarsi”, visto che ci migrano oltre agli investimenti pubblicitari anche fasce anagrafiche più vecchie.

 

Be Real!

Be Real: cos’è e come funziona

C’è un social che sulla spontaneità di cui sopra ha puntato tutto: Be Real. Statistiche alla mano, quasi metà dei suoi utenti ha tra i 16 e i 25 anni.

43,3%

Utenti tra i 16
e i 25 anni

Il dato riguarda il pubblico americano, ma possiamo aspettarci una distribuzione analoga in Europa.

In estrema sintesi, funziona così: la app scatta simultaneamente con la fotocamera anteriore e quella posteriore, catturando sia la scena che hai davanti, sia te che scatti la foto. Non quando vuoi, almeno in teoria, ma solo quando arriva una notifica: la stessa per tutti, ogni giorno a un orario diverso. Da quel momento, hai due minuti di tempo per pubblicare lo scatto.

L’intento originario era proprio catturare una quotidianità senza filtri, senza la possibilità di ritoccare la propria esistenza. Che fossi tra gli scaffali del supermercato, sul divano a guardare una serie oppure al concerto dell’anno, dovevi scattare entro due minuti. Con un patto: puoi vedere le foto degli altri solo se ne hai condivisa una anche tu.  
C’è anche la possibilità di «pubblicare in ritardo», ma questo viene quantificato sullo schermo. Diventa palese, insomma, che hai aspettato qualcosa di significativo, o l’ora dell’aperitivo. Tanto valeva fare una storia su Instagram, allora, se il racconto di te resta artefatto.

«Social come BeReal hanno un successo molto grande, molto velocemente, perché di solito si basano su un'unica funzionalità, quindi sono molto chiari e molto originali. In questo caso l'app ti dice quando pubblicare la foto e quindi ti prende un po’ alla sprovvista e ti rende un po’ “più real”, appunto. Tutto questo però rende i social simili molto difficili da gestire e da sviluppare nel lungo periodo, perché è difficile aggiungere nuove funzionalità senza tradirne la mission, diciamo».

Pietro Minto, giornalista tech.

La vita breve dei social

Il fatto che BeReal abbia un'unica funzione, però, «la rende anche molto facile da copiare, nel senso che era successo anche a ClubHouse, che ebbe un enorme successo durante la pandemia e che poi, dopo la pandemia, con la graduale riapertura è tramontata molto velocemente, ma nel frattempo era già stata clonata tra virgolette da Twitter con gli Spaces e persino da LinkedIn. Quello che sappiamo è che Meta è abbastanza abituata a fare qualcosa del genere, a clonare prodotti di successo e sta già lavorando a un prodotto simile a Burial per Instagram. Quindi questo tipo di social è un po’ il fenomeno del momento. Di solito hanno vita breve perché è difficile svilupparli nel lungo periodo».
Recentemente, seguendo l’esempio americano, anche la Commissione europea ha vietato l’uso di TikTok ai suoi dipendenti. Il governo italiano valuta una moral suasion per i lavoratori della Pubblica amministrazione. Se ByteDance, la proprietaria di TikTok, è cinese, i fondatori di BeReal sono europei, per la precisione francesi. Però i suoi numeri sono ancora molto contenuti: malgrado sia un trend nella nostra bolla, si calcola abbia poco meno di cinquanta milioni di utenti.

Tik Tok: il centro della Generazione Z

A livello globale, TikTok è ormai molto vicina a Instagram, con un miliardo di utenti attivi su base mensile. In Italia il social – che ritenere un’arena di balletti sarebbe semplicistico – ha più di tre milioni di utenti, il 72 per cento di loro ha meno di 24 anni.

È difficile rispondere alla domanda “Come sta TikTok in questo momento? – riflette Minto – Perché da un lato sta benissimo, è il centro della cultura giovanile, è il social di riferimento della Generazione Z. È qui che succede tutto per il pubblico più giovane. E quando non succede su TikTok, comunque viene commentato e analizzato su TikTok, tanto che una parte consistente degli utenti più giovani ormai usa l'app come motore di ricerca, sostituendola a Google.

Al tempo stesso però, TikTok, o meglio ByteDance, l’azienda cinese che è proprietaria di TikTok, sta vivendo un momento politico molto travagliato – conclude il giornalista –, con rischio di divieto di messa a bando sia negli Usa che in Unione Europea. Il motivo è l'enorme sospetto che orbita attorno a TikTok, soprattutto per quanto riguarda la privacy degli utenti. Si cerca di tranquillizzare Washington e Bruxelles, ma rimane da capire quanta fiducia vorrà avere l'Occidente in una realtà cinese che ormai viene percepita come un corpo estraneo.

Forse alle piattaforme social si può applicare il “teorema” delle giornate mondiali. Ogni giorno è la giornata mondiale di qualche cosa, ma sono poche quelle che ricordiamo di tutto il calendario. Delle filiazioni dell’industria social, molte sono chimere: le usiamo qualche settimana prima di stufarci.

Lassù restano i giganti, irraggiungibili, costantemente in crisi nella loro egemonia erosa. Quello che possiamo intravedere nella novità del mese, ogni mese, è semmai una tendenza carsica, ma di lungo periodo. Chissà se anche per BeReal sarà così.

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