Economia
Job Hopping e Gen Z: i giovani e il lavoro
Arriva dagli Stati Uniti e si sta diffondendo anche in Italia il fenomeno del job hopping, ovvero il frequente cambio di lavoro, letteralmente il “saltare da un lavoro all'altro”. Una pratica diffusa tra i Millennial, la generazione dei nati tra i primi anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, e ancor di più nella Generazione Z, i nati tra il 1995 e il 2010, soprattutto tra chi lavora nei settori IT e digitali. Per questi professionisti, l'idea del posto fisso è ormai superata, con un numero crescente di persone che cambiano occupazione ogni due anni.
L’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (Anpal- Il Sole24ore, 2023) certifica che il numero di professionisti che hanno cambiato lavoro almeno due volte in un periodo di 24 mesi è in costante aumento: durante il biennio 2015-2016, circa 2,35 milioni di italiani hanno cambiato lavoro più di una volta, ma questo numero è cresciuto del 20% nel biennio 2020-2021, raggiungendo quasi 3 milioni di persone.
Il job hopping non implica instabilità o mancanza di impegno. Al contrario, può essere una strategia efficace per sviluppare la carriera, acquisire nuove esperienze e affrontare nuove sfide. Le aziende più innovative riconoscono il valore aggiunto dei job hoppers, apprezzando le nuove prospettive e idee innovative che portano.
Una forza lavoro giovane e dinamica può colmare le lacune di competenze, arricchendo la cultura aziendale e promuovendo il cambiamento. L' Annual Global CEO Survey di PwC (2024) ha rilevato che il 51% dei CEO considera la creatività e l’innovazione tra le competenze principali per il successo.
Il job hopping presenta però delle sfide significative per le aziende, che rischiano di perdere competenze proprio quando diventa sempre più difficile reperire candidati adatti.
Perché le nuove generazioni tendono a cambiare lavoro ogni due anni?
Molte persone vogliono cambiare lavoro per guadagnare di più: spesso è più facile contrattare una retribuzione più elevata con un nuovo datore di lavoro, piuttosto che attendere un aumento nell’attuale posto di lavoro. Ma le motivazioni derivano anche, se non soprattutto, da trasformazioni sociali e culturali.
Pesano la ricerca di nuovi stimoli e le opportunità di sviluppo professionale, particolarmente rilevanti nelle professioni digitali e tecnologiche. Pesa la ricerca di un miglior equilibrio tra vita lavorativa e personale, fenomeno collegato alla "Great Resignation", le Grandi Dimissioni, ovvero quell’aumento delle dimissioni dal posto di lavoro che ha avuto un picco impressionante nel periodo della pandemia e immediatamente successivo.
Lavoro e società: trasformazioni del mercato del lavoro in Italia
Nel 2023 il tasso di occupazione nel nostro Paese ha toccato livelli record: il 61,5% della popolazione totale, con un aumento di 2,4 punti percentuali rispetto al 2019, pur restando ancora molto lontano dai livelli medi dell’Unione Europea (70,4%). Sul ritardo italiano pesano i bassissimi valori relativi al Mezzogiorno (dove il tasso di occupazione si ferma al 48,2%) e all’occupazione femminile, che è pari al 52,5% rispetto al 65,8% della media Ue27 (Fonte Istat, 2024).
Tasso di occupazione nel 2023: Italia ed Europa a confronto
Per quanto riguarda le professioni specialistiche e tecniche, il nostro Paese evidenzia una crescita lenta (+3,3 punti percentuali) che porta questo segmento del mercato alla quota del 33,3% del totale degli occupati. Crescita più rapida in Spagna (il 32% degli occupati, con un aumento di 8,2 punti percentuali), e soprattutto in Francia (il 42,7% degli occupati, con un aumento di 11,9 punti percentuali) e in Germania (il 43,6%, con un aumento di 7,4 punti percentuali).
Oggi ci sono in Italia circa 9 milioni i giovani di età compresa tra i 25 e i 35 anni, la cosiddetta Generazione Z, destinati a essere un terzo della forza lavoro entro il 2030. GenZ e Millennial hanno opinioni diverse sul lavoro: la Generazione Z dichiara di non essere disposta a vivere per lavorare, né ad accettare sistematici carichi di lavoro straordinario che gli impedisca di avere tempo libero. Per molti di loro avere orari flessibili è fondamentale, insieme all’opportunità di poter lavorare da remoto (27%). È importante che l’ambiente di lavoro sia positivo e che possa presentare possibilità di crescita.
Ma chi pensa che questo corrisponda a un minore impegno rispetto alle generazioni che li precede si sbaglia. La maggioranza dei GenZ dichiara di stare al lavoro più a lungo degli orari concordati, di andare oltre le proprie mansioni e di lavorare anche durante le ferie.
La pandemia ha avuto un ruolo fondamentale in questo fenomeno, mischiando le carte in un mercato del lavoro che era rimasto per anni stagnante e ripetitivo. Diverse indagini hanno evidenziato come ci sia stata dopo la pandemia una forte tendenza delle generazioni più giovani – a partire dai Millennial, seguiti poi dalla generazione Z con strascichi sulla generazione precedente, detta “generazione X” dei nati tra il 1965 e il 1980 – a lasciare il posto fisso, sicuro e, più in generale, l’idea del “lavoro per la vita”, verso una idea più liquida del lavoro.
Dopo la pandemia l’idea dominante nel mondo del lavoro è diventata che “nulla è immutabile” e tutto può essere cambiato e anche con una certa velocità. La tecnologia ha ovviamente supportato e incentivato questa tendenza, rendendo praticabile il salto da un lavoro all’altro più facilmente di un tempo. Alla paura di non trovare un nuovo impiego si è sostituita la paura di rimanere incagliati in un impiego mal retribuito e poco gratificante, che si concretizza nell’idea di impiegare il proprio tempo in attività lavorative a basso interesse o in ruoli non sufficientemente qualificati.
Ragioni del job hopping per Gen Z e Millennials, tra mismatch e “yolo economy”
È una filosofia di vita denominata Y.O.L.O (You-Only-Live-Once: si vive una volta sola) quella che spinge Millennial e Gen Z a cambiare. Un tempo il salto di lavoro era un comportamento che poteva essere percepito addirittura come sleale. Oggi le aziende accettano la nuova realtà. Del resto faticano sempre di più a trovare candidati. I report del Sistema Informativo Excelsior, elaborati da Unioncamere in collaborazione con Anpal (Il Sole24ore, 2023), mostrano un forte aumento delle posizioni non coperte a causa della mancanza di lavoratori qualificati o di candidature. La percentuale di posizioni scoperte è passata dal 21% nel 2017 al 45,6% attuale. Questa situazione è dovuta a percorsi formativi scolastici e universitari non adeguati, oltre che al cambiamento demografico, con i Baby Boomers che si avviano alla pensione e un minor numero di giovani che entra nel mercato del lavoro.
Un approfondimento condotto da Intesa Sanpaolo in collaborazione con Ipsos, sul tema del mismatch lavorativo, ha evidenziato l’importante ruolo del percorso formativo: il 64% degli intervistati avrebbe voluto essere guidato meglio nella scelta del percorso scolastico, soprattutto dal mondo delle imprese e dai docenti.
Generazioni a confronto: il lavoro per Gen Z, Millennials e baby boomer
La durata media della permanenza in un posto di lavoro varia a seconda dell'età (LHH, 2023). I Baby Boomer durano 8 anni e 3 mesi, la Gen X 5 anni e 2 mesi, i Millennial 2 anni e 9 mesi. Mentre la Gen Z si limita a 2 anni e 3 mesi.
Chi entrava nel mondo del lavoro nella seconda metà del secolo scorso si trovava di fronte ad aspettative molto diverse. Individuato il proprio percorso di carriera, la maggior parte dei Boomer e della Gen X trovava una strada diretta verso un salario stabile e la manteneva. Anche i Millennial più anziani hanno avuto percorsi simili.
La Gen Z è più “instabile”. Questa fascia di età ha nel DNA la connettività e non si “spegne” mai, è collegata a tendenze e opportunità 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Mentre i Boomer e i Millennial più anziani dovevano fare uno sforzo per esaminare nuove opportunità di lavoro, acquistando un giornale o visitando un'agenzia, i lavoratori più giovani iscritti a piattaforme come Linkedin e Indeed, possono intercettare offerte di lavoro più frequentemente. Leggi l'approfondimento su "Gen Z e Millenial: opinioni su costo della vita e lavoro".
Svantaggi del job hopping: cambio di lavoro e crescita professionale
Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro per le posizioni tecnologiche è in rapido aumento: la difficoltà di reperimento di professionisti adeguati riguarda infatti il 46,4% dei profili ricercati (Ansa, genn 2024), un valore superiore di circa otto punti percentuali a quello di un anno fa e che equivale a oltre 177 mila profili dei 382 mila ricercati. Ma se usciamo dalle professioni digitali il panorama italiano cambia e bisogna fare i conti con la disoccupazione giovanile sempre molto alta e con stipendi bassi. Se cambiare lavoro frequentemente è una pratica diffusa tra i professionisti digitali, non è detto che lo sia altrettanto per i lavoratori di tutti gli altri ambiti. Ad esempio - almeno per quanto riguarda il livello di retribuzione - a volte può essere più utile negoziare all'interno della propria azienda per ottenere un’offerta economica più interessante.
In tutti gli ambiti inoltre, cambiare troppo frequentemente lavoro può portare anche degli svantaggi. I datori di lavoro non vedono troppo di buon occhio chi cambia lavoro molto di frequente sia perchè un percorso professionale molto frammentato potrebbe portare a una scarsa profondità delle competenze acquisite e a una mancanza di continuità con le sfide progettuali e di trasformazione che richiedono anni per essere completate; sia perchè quando un’azienda assume un nuovo dipendente, fa un investimento significativo e se il nuovo assunto dopo poco tempo lascia il suo posto, quell’investimento va sprecato: secondo la Society for Human Resource Management (SHRM, apr 2022), il costo per sostituire un dipendente può arrivare al 50-60% del suo stipendio annuo.
Implicazioni per le aziende e progetti per creare un ambiente di lavoro attrattivo
In passato l’azienda offriva un’occasione di guadagno con cui vivere e costruire una famiglia. È ancora questo ciò che desiderano i giovani?
Secondo l’Inps circa il 45% di chi dà le dimissioni ritiene di non avere una retribuzione adeguata e quindi cerca migliori condizioni economiche; il 35% invece ritiene di non avere prospettive di carriera e lascia per trovare nuove opportunità di crescita professionale; il 24% ritiene che l’attuale occupazione non permetta un buon bilanciamento tra lavoro e vita privata; il 18% ricerca maggior flessibilità, smart working o lavoro ibrido e, infine, un ulteriore 18% dichiara di aver dato le dimissioni “perché si vive una volta sola” e la realizzazione delle proprie passioni è più importante (Inps, genn 2023).
Motivi alla base della scelta di dimissioni in Italia
Retribuzione non adeguata
Mancanza di prospettive di carriera
Assenza di equilibrio vita privata e lavoro
Ricerca di maggior flessibilità
"Si vive una volta sola"
Tuttavia, se da un lato il movente economico è la principale leva per il cambio di lavoro, è anche vero che tra i desideri e le motivazioni dei giovani di età compresa tra i 26 e i 35 anni, vi è anche altro. Questi giovani cercano molto più di un posto di lavoro e di guadagno, cercano situazioni in cui possono realizzare sé stessi dal punto di vista umano e professionale. Cercano ambienti di lavoro dove si sentano in armonia con i valori alla base del proprio vivere, dove vi sia il rispetto della persona, un equilibrio vita-lavoro, dove si sentano “ingaggiati” dal progetto professionale come parte attiva. Cercano luoghi in cui si sentano valorizzati e dove si investa su di loro, sulla loro crescita, con percorsi di carriera, nella condivisione degli obiettivi; più che risorse umane, vogliono sentirsi capitale umano.
Il tema del corporate wellbeing assume un’importanza centrale. L'investimento da parte delle aziende in salute e benessere dei dipendenti crea valore e contribuisce a migliorare la qualità della vita delle persone. Gli effetti positivi di una salute fisica, mentale e sociale, influiscono sugli indicatori che afferiscono al benessere aziendale: un ambiente che favorisca la collaborazione tra le persone; flessibilità e possibilità di lavorare da remoto; obiettivi chiari e coerenza tra obiettivi enunciati e pratiche condivise; valorizzazione delle competenze; ascolto dei dipendenti e circolazione delle informazioni; riduzione dei livelli di stress; gestione dei conflitti, sono aspetti che possono aiutare le aziende a trattenere i giovani lavoratori.
Intesa Sanpaolo progetti e opportunità per giovani
Per chi ha tra i 18 e i 29 anni, Intesa Sanpaolo offre dei corsi di formazione all’interno del Programma Giovani e Lavoro che aiutano a trovare impiego nei settori Hi-Tech, Industria meccanica di precisione, Vendite, Alberghiero e Ristorazione e Data Engineer.
Il Programma è realizzato da Intesa Sanpaolo in collaborazione con Generation Italy, fondazione non-profit nata da McKinsey & Company che offre l'accesso a un piano formativo che permetta di prepararsi in modo efficace alla domanda di personale junior da parte delle aziende.
Data ultimo aggiornamento 30 dicembre 2024